Matteo Renzi e Matteo Salvini, classe ’73 il primo, ’75 il secondo. Nati negli anni ’70, cresciuti negli ’80 a suon di spot e reti commerciali. Sono i primi figli di Mediaset, la prima generazione educata a suon di Drive In, la Ruota della Fortuna e il Pranzo è Servito.
Una generazione che ambiva a quella televisione, che ne carezzava i lustrini e i sogni. Non è un caso che i loro vent’anni siano stati segnati da apparizioni televisive. Matteo (Renzi) a 19 anni sceglie il palcoscenico della Ruota della Fortuna, l’altro Matteo (Salvini) un più “casalingo” Il Pranzo è Servito.
Sono i loro 15 minuti di celebrità ante litteram. O meglio il primo passo verso quella ribalta che arriverà più tardi, a 30 anni, insieme alla segreteria del partito.
Renzi e Salvini non sono figli di Berlusconi ma del berlusconismo. Si sono cibati della cultura delle reti Mediaset e l’hanno riversata nell’azione politica. Solo Matteo e Matteo potevano riuscire nell’epocale impresa di scalzare dal trono il loro "padre putativo". Si sono liberati del suo spettro a colpi di tweet e apparizioni in tv. Hanno coniugato le logiche televisive a quelle del web. Sono vincenti perché parlano alla D’Urso e ai Millenials. Sono degli oratori indiscussi, capaci di animare le piazze (Salvini più di Renzi); le trasmissione televisive (nelle quali vince Presidente del Consiglio) e il web.
Sono i mattatori che hanno colmato il vuoto a destra lasciato da Berlusconi. E l’hanno fatto perché conoscono come (e meglio?) del “padre” il linguaggio consumistico-pubblicitario che li ha allevati fin da piccoli. Hanno fatto proprio l’utilizzo degli slogan commerciali e l’hanno riversato su Twitter. Hanno imparato che un’immagine vale più di mille parole (fosse anche un selfie) e che per vincere c’è bisogno di un nemico, sempre. Matteo (quello della Lega) l’ha trovato negli immigrati (ma anche nell’Euro e nelle multinazionali) mentre al Presidente del Consiglio (forte di un consenso troppo ampio) manca proprio quello sparring partner che gli consenta di conservare la tensione tra i propri elettori (e in questo senso è propio il Matteo di Milano che può aiutarlo diventando il contraltare “popolare” di un Presidente che per ruolo deve essere “istituzionale”),
Sono i nuovi leader della destra italiana. Una nuova forma di destra, moderna, liquida, che attinge al malcontento di chi ha perso i propri riferimenti politici (anche a sinistra) ma che è al tempo stesso più crossmediale del Movimento 5 Stelle che ha avuto nella rete la sua forza e il suo limite.
Perché la rete presuppone partecipazione e l’astensionismo contemporaneo è antitetico a qualsivoglia forma di partecipazione. Il “leaderismo” di Salvini e Renzi è, di contro, la risposta più immediata alle richieste di un paese in crisi (ancor più se quella nazione ha già in sé l’adorazione per l’uomo forte). Lo sanno bene Matteo & Matteo; sanno che in questo secolo “indeterminato” la rapidità diventa un valore e la sicurezza nelle scelte un obiettivo da attendere. E’ in questo che sono di destra tanto quanto Berlusconi ed è per questo che l’ex Cavaliere ha puntato su lui prima di tutti. Berlusconi aveva capito che solo un uomo cresciuto a “pane e Mediaset” avrebbe potuto prendere il suo posto nel cuore della nazione. La capacità politica di Salvini è stata quella di comprendere che lo spazio della "destra moderata" era stato occupato dal segretario del PD e allora non rimaneva che estremizzare i discorsi, abbandonare giacca e cravatta per lanciarsi in un populismo che strizza l'occhio a Le Pen Marine più che Jean Marie.
Matteo e Matteo sono il futuro della politica italiana. O meglio sono i figli di un passato che si traveste di "nuovo".