La seduta inaugurale del nuovo Parlamento, in programma venerdì 23, dovrebbe portare al primo vero compromesso della legislatura: l’elezione dei Presidenti di Camera e Senato. Il risultato delle politiche del 4 marzo, infatti, non lascia altra strada che quella dell’accordo fra le forze politiche per la scelta delle figure di garanzia. Di ciò sono consapevoli anche i leader politici, che stanno lavorando per capire come uscire dall’impasse e individuare i candidati giusti, come fosse una precondizione per affrontare il vero e proprio rebus della formazione del nuovo governo. Dalle discussioni si è tirato fuori il Partito Democratico, che per ora ha scelto un approccio “non collaborativo”, seguendo la linea del “tocca a chi ha vinto”.
E chi ha vinto adotterà la logica dello spoiler system: una carica, la Camera dei deputati, al MoVimento 5 Stelle, l’altra, il Senato, al centrodestra. Se sullo scranno più alto di Montecitorio dovrebbe sedersi uno fra Fraccaro o Fico, più complicata è la questione Palazzo Madama. La Lega, che aveva inizialmente rivendicato la presidenza, potrebbe fare un passo indietro e lasciarla a Romani o Bernini di Forza Italia, a patto di “garanzie” future. A patto, cioè, che la soluzione Salvini a Palazzo Chigi sia la sola opzione che il centrodestra abbia in vista delle imminenti consultazioni con il Capo dello Stato per la formazione del nuovo governo.
E qui torniamo alla questione centrale: cosa farà Mattarella?
I numeri sono sempre gli stessi. Alla Camera dei deputati la maggioranza si raggiunge a quota 316 seggi: il MoVimento 5 Stelle potrà contare su 228 deputati, il centrodestra su 267 (Lega 124, FI 104, Fratelli d’Italia 33, altri 3), il centrosinistra su 118 (PD 109, altri 9) e Liberi e Uguali su 14. Al Senato la maggioranza si raggiunge a quota 158 seggi (non considerando i senatori a vita): il M5s ha 113 senatori, il centrodestra 136 (57 Lega e Fi, 14 Fdi, 2 altri), il centrosinistra 59 (PD 53, altri 6), LeU 4.
Tecnicamente al centrodestra servirebbero una cinquantina di deputati e una trentina di senatori. Ma senza poter contare su aiuti di area né sul PD (che non darà il via libera a un esecutivo politico, tantomeno a guida Salvini) bisognerà aprire ad altre soluzioni. Anche perché Mattarella non pare disposto ad autorizzare salti nel vuoto e continuerà a richiamare le forze politiche a uno sforzo di responsabilità che permetta la nascita della legislatura. Tutto ciò potrebbe portare a un governo “di scopo”, che faccia la nuova legge elettorale, vari la prossima legge di stabilità (disinnescando le clausole di salvaguardia) e consenta il ritorno alle urne. Un anno, meglio due per il Colle, insomma. È quello cui lavora Mattarella, tra l'altro l'unica prospettiva che potrebbe trovare d'accordo anche il PD.
Il problema maggiore è come convincere Salvini e Di Maio ad appoggiare una soluzione di questo tipo, considerando che entrambi hanno investito tantissimo sulla loro investitura a Chigi e avrebbero solo da perdere nel sostenere un "megainciucio", sia pure a tempo. Come provavamo a spiegare qui, il punto centrale è che "Salvini e Di Maio non hanno alcun interesse a scendere a compromessi, né la voglia di fare un passo indietro e galleggiare per qualche anno rinunciando a parti essenziali del loro programma, né la necessità di garantire la permanenza in Parlamento ai loro neo-eletti, né soprattutto la paura di tornare immediatamente alle urne". Senza nessuno di loro, però, non nasce alcun governo. Salvini sa che se accettasse un compromesso di questo tipo lascerebbe a Di Maio una prateria per organizzare l'opposizione nel Parlamento e nel Paese, coronando il sogno del M5s: presentarsi come l'unica alternativa al sistema politico tradizionale, cui finirebbe associata la Lega e il suo leader.
E il rebus resta indecifrabile anche per questo: il M5s parte da una evidente posizione di vantaggio e può permettersi di attendere le mosse degli altri, per poi presentare la propria soluzione alla crisi inevitabile. Un governo Di Maio, pronto a fare concessioni sul programma e sugli obiettivi a medio e breve periodo, che parta con l'appoggio esterno diretto o indiretto delle altre forze politiche. Una nuova legge elettorale che garantisca la governabilità con risultati "intorno al 35%" e solo poi il ritorno alle urne. Sarà questa la vera e unica offerta che arriverà sul tavolo di Matteo Salvini. Sulla scrivania di Mattarella, invece, è arrivata già da qualche giorno.