Maternità surrogata: e se invece ne parlassimo seriamente?
Di gestazione per altri – o più volgarmente "utero in affitto" – si parla da mesi. Il tema è tornato alla ribalta con la discussione del ddl unioni civili e la previsione della stepchild adoption per le coppie omosessuali – oramai stralciata dal testo del disegno passato la settimana scorsa in Senato. Pur non contenendo alcun riferimento alla Gpa, infatti, alcune parti politiche e di opinione pubblica hanno attribuito all'articolo 5 del ddl Cirinnà il rischio di aprire nel nostro paese alla maternità surrogata. Negli ultimi giorni la questione è esplosa con maggiore intensità dopo l'annuncio della paternità di Nichi Vendola e del suo compagno. Un figlio nato negli Stati Uniti con maternità surrogata. Sulla questione sono arrivati commenti da ogni dove – sia diretti specificatamente a Vendola, sia sul punto utero in affito in generale.
Da ultimo si è espressa anche la presidente della Camera Laura Boldrini, che ha ammesso di avere "molte riserve sulla maternità surrogata", un tema "molto delicato", soprattutto quando "si ha a che fare con giovani donne straniere" perché è una "pratica che si presta allo sfruttamento".
Quando si parla di gestazione per altri (o gestazione d'appoggio) si intende il procedimento per cui una donna porta avanti la gravidanza per conto di altri, che siano questi single o coppie. La "madre genetica" in questo caso non sarà l'effettivo genitore del bambino. Ne esistono diversi tipi: quella tradizionale, che prevede l’inseminazione artificiale dell’ovulo della madre surrogata, che è quindi anche madre biologica del bambino e quella gestazionale, in cui la madre surrogata si limita a portare avanti la gravidanza dopo che le viene impiantato nell’utero un embrione realizzato in vitro, che può essere geneticamente imparentato con i genitori committenti o provenire da donatrici. In alcuni paesi, compresa l'Italia, la pratica è vietata, in altri semplicemente non è regolata e in altri ancora è espressamente permessa.
Lo "sfruttamento" di cui ha parlato la presidente Boldrini è uno degli argomenti che unisce i contrari e i dubbiosi a proposito della gestazione per altri. Numerose inchieste hanno rivelato che in diversi paesi più poveri, donne indigenti si prestano a portare in grembo il figlio di qualcun altro per guadagnare qualcosa con cui vivere. Da questa circostanza sono nate proposte come comminare pene fino a 12 anni per chi ricorre all'utero in affitto all'estero, o il rendere la maternità surrogata "reato universale".
Certamente immaginare una donna in Thailandia o in India costretta dalla povertà a prendere questa scelta non è una cosa che rende felici. La questione però non è tutta qui. In un articolo su Internazionale, Claudio Rossi Marcelli ha scritto qualche mese fa che "la degenerazione della gpa che avviene in alcuni paesi richiama giustamente l’attenzione della stampa e delle organizzazioni internazionali, ma bisogna stare attenti a non falsare il dibattito generale e lasciare spazio a strumentalizzazioni politiche". Raccontare – come fanno la maggior parte di coloro che parlano di "utero in affitto" – solo questa faccia del problema, infatti, rischia di trasformare tutto nella solita cagnara propagandistica. Nell'articolo di Marcelli si evidenzia come esistano anche paesi in cui la Gpa è regolata, ma si discosta dal terribile quadro della donna sfruttata:
Sulla nostra stampa non si racconta quasi mai che negli Stati Uniti e in Canada la maternità surrogata è una pratica molto diffusa e accettata, e che le donne che si prestano ad avere un figlio per qualcun altro in cambio di un compenso non lo fanno per bisogno, ma per un misto di opportunità e altruismo. La cifra che riceve una donna americana è di sicuro una somma importante, ma da sola non basterebbe a spingere una donna che non vuole essere una madre surrogata a diventarlo. Al contrario di quello che succede in India, questo tipo di compenso non le cambia la vita. In genere si tratta invece di un’espressione del principio tutto americano del win-win: io metto qualche soldo in più da parte grazie a te e tu metti su famiglia grazie a me, e siamo tutti soddisfatti.
I paesi che permettono la gestazione per altri sono diversi, e diversi sono i modi in cui la pratica viene regolamentata. Le differenze riguardano cittadinanza del bambino, esclusione o meno di coppie omosessuali, compensi, accordi privati.
A prescindere da considerazioni etiche, c'è un dato di fatto: in Italia manca un dibattito serio sulla gestazione per altri. Prova ne è il fatto che viene sistematicamente esclusa la circostanza che a fare uso di Gpa nel mondo sia una maggioranza di coppie eterosessuali, impossibilitate ad avere figli per problemi di salute. Nel nostro paese l'unica norma a parlare di gestazione per altri è la legge 40 del 2004, sulla procreazione medicalmente assistita. Secondo il comma 6 dell'articolo 12
"chiunque, in qualsiasi forma, realizza, organizza o pubblicizza la commercializzazione di gameti o di embrioni o la surrogazione di maternità è punito con la reclusione da tre mesi a due anni e con la multa da 600.000 a un milione di euro".
Essendoci paesi che, invece, consentono la gpa, è chiaro che questa norma non ha fermato chi si è voluto avvalere di questa possibilità. Le coppie – etero e omosessuali – o i single che hanno fatto ricorso alla maternità surrogata lo hanno fatto all'estero, prendendo contatti e agendo tramite agenzie specializzate. Nonostante il fallimento della linea del divieto, però, di una legge che regoli la maternità surrogata in Italia non si può ancora parlare. Secondo l'associazione Luca Coscioni, "è nel vuoto legislativo, che costringe al turismo procreativo non solo le coppie omosessuali, ma anche tante donne impossibilitate a portare avanti una gravidanza per ragioni di salute, che si annida il pericolo. Lo sfruttamento infatti non si combatte lasciando i fenomeni senza governo, ma regolamentadoli con limiti e paletti che garantiscano i diritti di tutti".
L'unico effetto prodotto dal divieto e dal vuoto legislativo nel nostro paese è stato, probabilmente, dividere le coppie – lo ripeto che non fa mai male: sia eterosessuali che omosessuali – in due insiemi: coloro che potevano permettersi di andare all'estero, e coloro che non hanno avuto questa possibilità. O, ancora, coloro che si sono rivolti a paesi come gli Stati Uniti, e coloro che sono finiti in Thailandia, rendendosi eventualmente complici di pratiche di sfruttamento. Quello che mi viene da pensare, però, è che, nonostante gli scarsi risultati, il vuoto convenga. Nell'assenza di regole ognuno la racconta come vuole, e demonizzare "l'altro" può diventare sempre più semplice.