“L'Italia gestisce il fenomeno dei flussi migratori da Paesi che non fanno parte dell’Unione europea attraverso politiche che coniugano l’accoglienza e l’integrazione con l’azione di contrasto all’immigrazione irregolare”. Questa frase è l’architrave dell’intero sistema delle politiche migratorie dello Stato italiano ed è (giustamente) l’incipit del tema “immigrazione e asilo” sviluppato sul sito del ministero dell’Interno. Tema da mesi al centro di polemiche durissime, che negli ultimi giorni si sono concentrate intorno alle minacce del Governatore della Lombardia Roberto Maroni nei confronti dei “Sindaci solidali”. In poche parole, Maroni ha minacciato di tagliare i trasferimenti a quei Sindaci che avessero intenzione di continuare ad offrire la “disponibilità” ad accogliere i migranti in strutture temporanee. A spalleggiarlo il segretario della Lega Nord Matteo Salvini, che si è detto “pronto a bloccare le prefetture e a presidiare tutte quelle strutture che a spese degli italiani qualcuno vuole mettere a disposizione di migliaia di immigrati clandestini”.
Una presa di posizione (condivisa, pare, anche dal Governatore del Veneto Zaia) che ha trovato una pronta risposta da parte del ministro dell’Interno Angelino Alfano: “Vorrei tranquillizzare Maroni, farò ciò che fece lui al mio posto e chiederò ai sindaci ciò che ha chiesto lui il 30 marzo del 2011 in piena emergenza immigrazione”.
In effetti, la cosa surreale è che il “sistema delle quote per le singole Regioni” è stato applicato (con una discutibile efficacia) proprio dall’allora ministro dell’Interno Roberto Maroni, alle prese con il picco degli sbarchi del 2011. Il passaggio cruciale è di quelle settimane, infatti, quando con O.P.C.M. n. 3933 del 13/04/2011 si stabiliva che:
“il Commissario delegato (Franco Gabrielli, capo del Dipartimento della Protezione Civile della Presidenza del Consiglio, ndr) predispone, in accordo con le Regioni, e i rappresentanti di ANCI e UPI, il Piano per la distribuzione sul territorio nazionale, la prima accoglienza e la sistemazione dei cittadini extracomunitari provenienti dal Nord Africa arrivati nel territorio nazionale ai quali sia riconosciuto lo status di profughi o rispetto a cui siano state adottate misure di protezione temporanea ai sensi dell’articolo 20 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 e successive modifiche ed integrazioni, ferme restando le competenze statali in materia di pubblica sicurezza e di tutela delle strutture utilizzate, anche in relazione alla loro idoneità tecnica. Il predetto Piano è articolato in successive fasi di attuazione e basato sull’equa e contestuale distribuzione dei cittadini extracomunitari fra tutte le Regioni, in ottemperanza dell’Accordo del 6 aprile 2011″
Maroni, insomma, parlava di “equa e contestuale distribuzione dei cittadini extracomunitari fra tutte le Regioni” che è sostanzialmente ciò che vuole fare il Governo in questi giorni. Cosa è cambiato da allora? Il sistema ha prodotto una distribuzione squilibrata all’interno delle Regioni? Vediamo un po’ di numeri (si tratta dell’ultima rilevazione completa, relativa al 1 marzo 2015):
Insomma, con la rilevante eccezione della Sicilia, la distribuzione sembra coerente con il numero di abitanti e con le “possibilità” delle singole Regioni quanto a “sostenibilità dell’accoglienza” (qui un approfondimento sulla questione). Ma il punto è che la polemica di Maroni ha poco senso, soprattutto considerando le sue enormi responsabilità nella determinazione dell’intero “sistema” dell’accoglienza e della ridistribuzione sul territorio nazionale dei migranti.
A cominciare dall’introduzione del concetto di “profughi” che, come rilevato subito da ben più di un analista, non trovava “alcun riscontro nelle vigenti normative in materia di asilo” e soprattutto delineava un sistema “al ribasso” prevedendo interventi ad hoc e standard non definiti in relazione ai servizi di accoglienza, orientamento sociale e alla procedura dei richiedenti asilo. Ma c'è di più, perché anche il fulcro del sistema “sotto accusa”, gli accordi tra soggetti pubblici e privati per la gestione dell’accoglienza, è stato disciplinato proprio dal Governo di cui Maroni era ministro dell’Interno. È nel giugno del 2011, infatti, che “si dispone con chiarezza che per garantire prestazioni uniformi ai cittadini nordafricani i Soggetti attuatori sono autorizzati a stipulare contratti o convenzioni con soggetti pubblici o privati” e si stabilisce che i soggetti attuatori debbano “garantire servizi equivalenti a quelli previsti dal capitolato d’appalto del Ministero dell’Interno per la gestione dei C.A.R.A.” (che invece sono centri di accoglienza per i richiedenti asilo).
È interessante poi notare i disastri del periodo di vuoto normativo (i mesi che passano tra le due ordinanze), come si legge in una indagine successiva (sempre del ministero dell’Interno): “Nei mesi nel frattempo intercorsi migliaia di persone sono intanto già state collocate in diverse strutture gestite anche da privati con nessuna esperienza nel settore; e a Mineo, fino a giugno 2011 non risultavano ancora garantiti i servizi minimi previsti dal capitolato d’appalto dei C.A.R.A”. Insomma, Maroni alza la voce adesso, criticando una gestione che ha sostanzialmente “inventato lui” (con annessi errori organizzativi e strategici).
Peraltro, c’è un ampio dibattito in corso sulla competenza esclusiva della materia immigrazione ma appaiono chiari i “limiti” oltre i quali un Governatore Regionale deve attestarsi. La Corte Costituzionale ha infatti chiarito (ad esempio con la sentenza n. 299 del 2010 e la sentenza n.61 del 2011) che se permane la “possibilità di interventi legislativi delle Regioni con riguardo al fenomeno dell’immigrazione” (assistenza sanitaria, inclusione sociale, progetti di integrazione, diritto allo studio), resta fermo il fatto che “tale potestà legislativa non può riguardare aspetti che attengono alle politiche di programmazione dei flussi di ingresso e di soggiorno nel territorio nazionale”.
A Maroni, insomma, resta (forse solo) l'arma del "ricatto" sui fondi regionali. Il che dimostra grande "spirito istituzionale", c'è poco da dire. Meglio ascoltare, allora: