Marjan Jamali è libera ma resta l’accusa di essere una scafista, Amnesty a Fanpage.it: “Speriamo in un’assoluzione”

"Siamo felici che Marjan abbia riacquistato piena libertà", ha dichiarato Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International, a Fanpage.it, commentando la decisione del tribunale del Riesame di Reggio Calabria di revocare gli arresti domiciliari a Marjan Jamali, giovane donna iraniana accusata di favoreggiamento dell'immigrazione irregolare. "Questa decisione l'aspettavamo, convinti che appena avesse potuto prendere la parola nel processo sarebbe emersa la sua estraneità a ogni accusa e sarebbe venuto meno l'obbligo dei domiciliari col braccialetto", ha aggiunto Noury.
Dal 27 maggio 2024, Jamali è agli arresti domiciliari con il suo bambino di otto anni, ospitata dalla cooperativa "Jungi Mundu" a Camini. La giovane donna ha cercato rifugio in Europa per fuggire da persecuzioni politiche e violenze domestiche in Iran: a soli 29 anni, ha infatti deciso di abbandonare un marito sempre più violento e un regime sempre più oppressivo. Durante la traversata del Mediterraneo, è stata però molestata da tre uomini, gli stessi che l'hanno poi accusata di favoreggiamento dell'immigrazione irregolare, accusandola di aver aiutato chi guidava la barca salpata dalle coste turche. Jamali è stata così immediatamente arrestata il 28 ottobre 2023, subito dopo essere arrivata in Italia. Le indagini hanno però finalmente dimostrato, dopo 17 mesi di reclusione, che Jamali viaggiava come migrante, senza alcun ruolo nei traffici illeciti. Questo è stato confermato anche dal capitano della nave, che ha già patteggiato per il suo ruolo e ha testimoniato in favore della donna, dichiarando che Jamali era semplicemente una passeggera.
"Aspettiamo che entro il prossimo mese di maggio arrivi l'assoluzione e che anche questa vicenda persecutoria convinca le autorità italiane che, se non si riformano le leggi sull'immigrazione, e in particolare le norme sul favoreggiamento dell'ingresso irregolare, potrebbero esserci altre storie simili a quella di Maysoon e Marjan, che già esistono, ma che non sono note", ha concluso Noury a Fanpage.it.
Quello di Jamali non è un caso isolato
La vicenda di Jamali non è un caso isolato: la sua storia si intreccia infatti con quella di altre donne, come Maysoon Majidi, un'altra donna iraniana arrestata nello stesso periodo, con la stessa imputazione di essere una scafista, e quella di Amir Babai, che ha cercato di difendere Marjan durante il viaggio, e che ora è ancora in carcere con accuse simili. Noury ha sottolineato che questo tipo di persecuzione non fa che allontanare le persone dalla protezione che cercano: "Per contrastare le imprese criminali che gestiscono i viaggi delle persone in cerca di protezione non si devono perseguitare le persone che viaggiano: si devono rendere i loro percorsi legali e sicuri". La decisione di liberare Marjan Jamali è stata presa dopo un approfondimento delle evidenze legali, tra cui le testimonianze chiave che hanno smentito le accuse: la giovane iraniana aveva dichiarato in aula, durante una delle udienze, di non aver mai compreso le ragioni del suo arresto, e aveva chiesto la rimozione del braccialetto elettronico che la vincolava alla sua casa, dove viveva con suo figlio.
L'accusa e le criticità della legge italiana sull'immigrazione
L'accusa che ha colpito Jamali e Majidi si fonda sull'articolo 12 del Testo Unico sull'Immigrazione (TUI). Questa norma prevede pene per chi facilita l'ingresso illegale di stranieri, ma non distingue tra chi agisce per scopi di profitto e chi lo fa in situazioni di emergenza. A livello internazionale, il traffico di esseri umani è riconosciuto solo quando c'è un vantaggio economico: in base al Protocollo delle Nazioni Unite, ratificato dall'Italia, le vittime non dovrebbero essere criminalizzate, come nel caso di Jamali, che non ha tratto alcun guadagno dalla sua fuga, ma ha cercato semplicemente di scappare dalla violenza. La legge italiana, quindi, non rispetta pienamente gli standard internazionali, finendo per penalizzare coloro che cercano di salvarsi. Sebbene l'articolo 12 preveda l'esclusione della punibilità per azioni umanitarie, nella pratica le normative italiane ostacolano chi offre aiuto ai migranti, mettendo così molto spesso a rischio anche il lavoro delle ONG e dei difensori dei diritti umani.
La prossima udienza, tuttavia, è prevista per il 18 maggio.