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Manovra: Renzi promette tagli ma si rischia una pioggia di tasse

Renzi promette di tagliare la spesa e di non alzare le tasse, ma in vista della Legge di Stabilità 2015 si prospetta, oltre al blocco degli stipendi per il pubblico impiego, una riduzione delle detrazioni fiscali. Un modo per camuffare un aumento della pressione fiscale facendola passare per un atto di “perequazione sociale”…
A cura di Luca Spoldi
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Sono passate 48 ore dal discorso di Matteo Renzi in parlamento nel quale il premier ha illustrato un programma di governo per i prossimi mille giorni, “ultima chance per recuperare il tempo perduto, per pareggiare i conti” affrontando temi “pesanti” come le riforme, il lavoro, la giustizia, ritenuti indispensabili per la crescita che continua a latitare, ma solo in Italia come ha chiarito l’altro ieri l’Ocse (e ribadito oggi l’Fmi) a chi ancora si illudesse che “è tutta colpa della congiuntura” cinica e bara se il “bel paese” non riesce neppure più a mantenersi a galla grazie a quel refolo di crescita che gli giunge dal mondo esterno attraverso le esportazioni.  Quarantottore che sembrano 48 giorni, visto che già il dibattito si sta spostando dalle riforme strutturali “e progressive” alla più materiale esigenza di far quadrare i conti fin dalla prossima Legge di Stabilità, da sottoporre preventivamente (entro il 15 novembre) al placet di Bruxelles.

Un “appuntamento con la realtà” che rischia di risvegliare bruscamente tutti coloro che si sono fin qui cullati nel sogno di riforme “a costo zero” o di un “effetto trascinamento” sul modello di quello sperimentato dall’Irlanda (che però le riforme le ha già fatte da qualche anno a differenza dell’Italia) che da solo avrebbe potuto evitare altri disagi alle italiche genti. La realtà è che, condannati da una classe politica (e dal relativo seppur variegato elettorato) che non riesce più a immaginarsi un futuro di crescita e a trovare gli strumenti per realizzarlo, l’Italia, sui cui conti grava un debito pubblico che gli analisti di Mediobanca prevedano sia destinato a salire al 145% del Pil entro la fine del prossimo anno (dal 136% circa attorno a cui oscilla già ora), non può fare altro che cercare di mettere ogni volta una pezza (a colori) ai buchi di bilancio che la recessione continua a scavare, per rispettare o quanto meno non sforare di troppo gli obiettivi concordati con Bruxelles che prima o poi rischiano di esplodere definitivamente (un deficit/Pil entro il 3%, un debito/Pil da ricondurre quanto prima entro il 120% e poi gradualmente al 50%).

Servirebbe tagliare la spesa e farlo in modo “intelligente”: capita tuttavia che secondo le indiscrezioni che hanno già preso a circolare Renzi e i suoi ministri stiano cercando per ora di ridurre i budget dei ministeri di 3-4 miliardi. Il blocco degli stipendi ai lavoratori del pubblico impiego, che già sta innervosendo i sindacati (in particolare ma non solo quelli delle forze dell’ordine che lamentano anni di mancati investimenti e continui tagli) pronti a “chiamare” lo sciopero generale, dovrebbe secondo stime realistiche portare ad un “risparmio” (o ad una dilazione di spesa, quanto meno) di 2,5-3 miliardi. Lo sfoltimento “drastico” delle partecipate statali, che per ora non si è visto dato che sfoltire la selva delle partecipazioni pubbliche, da quelle in mano al Tesoro alle migliaia di municipalizzate, significa mettere a rischio migliaia di “poltrone” (sapendo che non sarebbe possibile “promuovere” tutti i rappresentanti politici e/o sindacali che le occupano ad altri incarichi), potrebbe secondo i più ottimisti eliminare altri 2,5-3 miliardi, peraltro da realizzare nell’arco di un triennio da qui al 2017.

Bene, si fa per dire: i tagli sopracitati dovrebbero ridurre l’anno venturo la spesa pubblica di non più di 8 miliardi (10 nel trienno), pari a meno dell’1% della spesa (per “cassa”) prevista dal bilancio dello stato italiano quest’anno (828,3 miliardi di euro secondo i calcoli della Ragioneria Generale), spesa salita anche per effetto della crisi e dei relativi costi in termini di ammortizzatori sociali del 6,8% rispetto al 2013 (775,6 miliardi), ossia ben più del costo medio del debito pubblico che sta lentamente scendendo sotto al 4,5% (ma visto che il debito stesso aumenta non vi sarà alcun miglioramento in termini di minore esborso netto, che anzi è destinato a salire lentamente sopra i 100 miliardi annui tra quest’anno e il prossimo). E il resto, visto che la manovra dovrebbe valere tra i 20 e i 25 miliardi a seconda delle fonti?

Siccome se non si riduce la spesa occorre aumentare le entrate, inevitabilmente Renzi e i suoi ministri dovranno trovare il modo di aumentare di altri 10-12 miliardi le entrate fiscali, ponendo così fine all’aneddotica, in voga da anni, della riduzione perennemente “in divenire” della pressione fiscale che già oggi raggiunge, per chi la subisce, livelli quasi insostenibili e comunque molto distanti da quelli di altri paesi comparabili, specialmente a parità di prestazioni del “welfare”. Come riuscire a far ingoiare il rospo agli italiani? Camuffando la manovra con una teorica (molto teorica) “perequazione sociale”. Non potendo toccare tasse e accise, salvo pochi casi (si parla con insistenza di una revisione della tassa di successione, cosa che introdurrebbe un ulteriore elemento patrimoniale dopo l’Imu e la “patrimonialina” su depositi, fondi comuni e conti correnti), si agirebbe dal lato delle detrazioni e dei regimi agevolati.

In questo modo si potrebbe cercare di propinare ancora una volta la favoletta del “riequilibrio” tra la tassazione sul lavoro, che peraltro non calerebbe, quella sui consumi, che salirebbe col rischio di ridurre ulteriormente la domanda aggregata e peggiorare ancora la recessione (ergo allontanando ogni ipotesi di una ripresa degli investimenti privati). C’è un però: però le detrazioni (e i regimi agevolati ai sensi dell’Iva) più consistenti sono quelle, guarda caso, “più sensibili” come ha candidamente ammesso il sottosegretario all’Economia, Enrico Zanetti. Zanetti per pudore non lo dice, ma la Ragioneria Generale sì e basta leggere i documenti online per ricordarsi, ove lo si fosse scordato, che “quasi il 50 per cento delle risorse del bilancio sono destinate al finanziamento di interventi in materia di previdenza, assistenza, istruzione e salute”. Insomma, a pagare non saranno solo i pubblici dipendenti (cui verranno bloccati gli stipendi e il turnover), a rischio appaiono anche il sistema previdenziale e quello sanitario.

Meno pensioni e più ticket per tutti? Sarebbe macelleria sociale, più probabile si tentino operazioni del tipo “contributo straordinario da parte di chi gode di pensioni d’oro” o anche “razionalizzazione della spesa sanitaria per ridurre gli sprechi”. Non mancheranno poi le solite rassicurazioni sulla “lotta all’evasione” (che, non so voi, sento ormai pronunciare ogni anno dal premier di turno da che ho memoria) e il relativo contributo (che però non può essere messo a bilancio secondo le regole europee), così come sull’effetto benefico di un eventuale (l’anno venturo molto più di quello corrente, visti i livelli già toccati dai tassi) riduzione della spesa in termini di interessi sul debito (che peraltro, ribadisco, rischia di essere un gioco di specchi in cui il calo del tasso nominale di interesse è compensato in larga parte dall’aumento del debito su cui l’interesse stesso si calcola e fosse anche solo per questo sarà difficile far accettare a Bruxelles come “dato acquisito”). Altro che tempi supplementari caro Renzi, l’Italia è già da un pezzo finita ai calci di rigore: attenzione almeno a non sbagliarli.

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Luca Spoldi nasce ad Alessandria nel 1967. Dopo la laurea in Bocconi è stato analista finanziario (è socio Aiaf dal 1998) e gestore di fondi comuni e gestioni patrimoniali a Milano e Napoli. Nel 2002 ha vinto il Premio Marrama per i risultati ottenuti dalla sua società, 6 In Rete Consulting. Autore di articoli e pubblicazioni economiche, è stato docente di Economia e Organizzazione al Politecnico di Napoli dal 2002 al 2009. Appassionato del web2.0 ha fondato e dirige il sito www.mondivirtuali.it.
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