Tutti sapevano che non sarebbe stato facile, che l’esperimento di governo post Papeete sarebbe stato un difficilissimo banco di prova per una maggioranza rattoppata e frammentata come mai prima d’ora. Così come era piuttosto semplice ipotizzare che questo 2019 non sarebbe stato “un anno bellissimo”. Un tale stallo, però, va oltre ogni più infausta previsione. E la manifestazione di impotenza del Presidente del Consiglio Giuseppe Conte è la più plastica rappresentazione della realtà di questi giorni.
La questione ILVA è un montante durissimo che colpisce un pugile già piegato sulle corde, incapace di reagire, cui toccano ancora altre 10 riprese, contro un avversario che neanche riesce a vedere, con la stragrande maggioranza degli spettatori che tifano contro e con un arbitro che si eclissa durante l’incontro, rifiutandosi di decretare il KO tecnico. Ed è tanto più grave perché, a voler essere onesti fino in fondo, le responsabilità (e dunque le possibilità di incidere) del governo sono marginali. La divisione sulla reintroduzione dello scudo legale è l’esempio lampante dell’impotenza del governo: la maggioranza si trova a spaccarsi e lacerarsi su una questione che comunque non impatterà, se non in modo marginale, sulla scelta di Arcelor Mittal, mentre non si ha alcun modo per intervenire sulle reali cause del disimpegno della multinazionale.
Elaborare una exit strategy è complicatissimo, date le condizioni. Conte ha provato la carta dell'ascolto, poi ha chiesto ai ministri "idee" per Taranto: una scelta onesta, ma anche un segnale di impotenza della politica, che non sembra in grado (soprattutto a livello nazionale) di contrastare dumping salariale e ambientale, la faccia più truce del capitalismo neo-colonialista, né di imporre ultimatum. Resta la "causa del secolo" come opzione concreta, ma con tempi ed esiti del tutto nebulosi. E restano le distanze enormi interne alla maggioranza, tra chi ritiene che si sia commesso un grosso errore (fornendo un pretesto ad ArcelorMittal), chi non controlla i propri gruppi parlamentari e chi condivide le responsabilità del disastro dell'azienda di Taranto.
ILVA esplode all'avvio della fase parlamentare sulla legge di bilancio, destinata a evidenziare i conflitti interni alla maggioranza. Renzi ha fatto sapere di aver in mente una manovra alternativa e nel frattempo promette di "fare al PD ciò che Macron ha fatto ai socialisti francesi". I Cinque Stelle sono in mezzo al guado, costretti a difendersi dagli attacchi a reddito di cittadinanza e quota 100 e impossibilitati a usare la leva della polemica con la UE, via di sbocco comoda ed efficace nei mesi scorsi. Il PD di Zingaretti è inchiodato al concetto di responsabilità, consapevole che la debolezza intrinseca del governo mal si concilia con la pretesa discontinuità di qualche mese addietro.
Il caso Venezia e il MOSE, su cui ovviamente sarebbe oltremodo sciocco crocifiggere un esecutivo in carica da qualche settimana, aggiunge sale sulle ferite, perché è l'ulteriore dimostrazione di come anni di pretesa "bonifica" delle prassi e dei metodi della politica non abbiano prodotto altro di diverso rispetto al passato. Il MOSE è l'Italia che abbiamo sempre conosciuto: un progetto vecchio e profondamente sbagliato, portato avanti costi quel che costi, tra ritardi, sprechi, intrallazzi e cessioni di sovranità (della politica, in questo caso). E con un nuovo governo che non sa dove mettere le mani.
Uno stallo, appunto. Senza margini di manovra, senza possibilità di incidere nei processi e senza sapere nemmeno a chi dare la colpa.