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Manconi: “Governo tratta migranti come nemici dello Stato, Cpr sono inutili e violano diritti umani”

Luigi Manconi, presidente dell’associazione A buon diritto, rispondendo a Fanpage.it ha analizzato la linea del governo Meloni sul rimpatrio dei migranti, e come questa abbia uno “scopo solo ideologico”: dall’insistenza sui Cpr, all’accordo con l’Albania. Così si rinforza l’idea che “i migranti siano una classe pericolosa”.
A cura di Luca Pons
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Il governo ha già chiarito alcuni obiettivi nella sua strategia per gestire i flussi di persone migranti nei prossimi anni, e un punto fisso nei discorsi di Giorgia Meloni è il potenziamento delle misure per il rimpatrio. Questo, per l'esecutivo, significa soprattutto insistere sui Centri di permanenza per il rimpatrio, o Cpr: strutture di detenzione per coloro che non hanno documenti regolari e quindi devono essere espulsi dal Paese. La onlus A buon diritto ha presentato il suo Rapporto sullo stato dei diritti, e tra i vari temi ha messo in evidenza la "problematicità" dei Cpr: perché le persone trattenute non hanno commesso alcun reato, e perché le condizioni all'interno spesso violano i diritti umani. Luigi Manconi, giornalista e sociologo che presiede A buon diritto, ha risposto alle domande di Fanpage.it sul tema.

Nel Rapporto sui diritti, la situazione dei Centri di permanenza per i rimpatri è inserita nel capitolo relativo alle carceri. Però chi viene trattenuto in un Cpr non è lì perché ha commesso un reato, giusto?

Qui sta una delle ragioni essenziali del carattere illegittimo, forse persino sotto il profilo costituzionale, dell'esistenza stessa dei Cpr. Perché appunto, contrariamente a quanto si crede, non è una misura correlata a un reato, bensì a un'esigenza di trattenimento per chi sia privo di regolari documenti.

Il governo Meloni però ha deciso di puntare molto sui Cpr, tanto da dichiarare di volerne allestire uno per Regione. E di recente ha aumentato il tempo massimo di detenzione a 18 mesi.

Negli anni il periodo massimo di detenzione è oscillato in maniera nevrastenica, seguendo i sussulti degli allarmi sociali. I Cpr esistono ormai da 25 anni, sotto vari nomi. In realtà, sono un monumento al fallimento della loro funzione.

Perché?

Oltre al ristretto numero di persone che trattengono, sono inefficaci rispetto allo scopo. Il numero di persone espulse e rimpatriate è stato abbastanza costante nel tempo, non ha mai superato la metà delle persone detenute.

Quindi che scopo ha aumentare il limite a 18 mesi?

Quella scadenza temporale ha uno scopo solo ideologico. Persegue il fine di classificare le persone rinchiuse nei Cpr come criminali – cosa che non sono nella grande maggioranza dei casi -, di trattenerli fuori dallo sguardo collettivo e di infliggere loro una afflizione immotivata sotto ogni profilo. La possibilità di espulsione non cresce con l'aumento del tempo di trattenimento. Quelli che vengono espulsi subiscono questo provvedimento entro il primo mese del trattenimento. Quindi, se si innalza quel termine, non si ottengono risultati maggiori.

Spesso anche le condizioni in cui vengono detenute le persone all'interno sono pessime, come sottolinea il vostro rapporto.

Sì, e se a quanto detto finora si aggiunge che lo stato dei Cpr è assai di frequente simile a quello riscontrato nel Cpr milanese, si vede come queste strutture sono veri e propri istituti per la violazione sistematica dei diritti umani. A me è capitato di visitare oltre una ventina di Cie, come si chiamavano allora, Centri per l'identificazione e il rimpatrio. Tutti presentavano una condizione di degrado. Sono dei veri e propri non-luoghi, precipitati in un non-tempo.

Può spiegare questa definizione?

Non-luoghi perché si tratta di strutture prive di qualunque attività, qualunque forma di socialità, qualunque strumento di formazione. E precipitati nel non-tempo perché esiste solo la soglia ultima oltre la quale si viene espulsi. Ma chi si trova lì non ha in genere consapevolezza del motivo per cui vi si trovi, né del tempo che vi dovrà trascorrere, oltre alla soglia. Non ci sono valutazioni specifiche, basate su esigenze giudiziarie o di sicurezza.

Segue la stessa logica dei Cpr anche l'accordo con l'Albania annunciato dal governo Meloni? 

Sì, rientra nella priorità fondamentale: quella di nascondere allo sguardo, di cancellare dalla vita sociale e dal paesaggio urbano, questi gruppi considerati pericolosi. Finora c'è stato un pronunciamento della Corte suprema inglese [su un accordo simile tra Regno Unito e Ruanda, ndr], un possibile pronunciamento della Corte suprema albanese, ed è probabile che se la Corte costituzionale italiana venisse chiamata in causa si pronuncerà nella stessa direzione. Questo orientamento che prevede l'esternalizzazione, cioè la collocazione oltre i confini nazionali, di questi centri che hanno una funzione così delicata, risulta semplicemente un'operazione suggestiva che risponde a finalità di natura ideologica. E anzi, è la conferma di un concetto estremamente insidioso.

Quale?

Che i migranti siano una classe pericolosa. Secondo un'interpretazione del diritto che risale alla metà dell'Ottocento, quando c'erano le "classi" pericolose, gruppi sociali che per loro stessa natura venivano considerati nemici dello Stato.

I Cpr esistono da anni, come ha detto. L'approccio al tema è stato condiviso tra centrodestra e centrosinistra?

I governi più moderati riducevano i tempi del trattenimento, i governi più reazionari li aumentavano. Ma non sono stati messi in discussione i Cpr come istituto.

Nel rapporto di A buon diritto si raccomanda una "revisione profonda del trattenimento dei migranti". Cosa servirebbe? 

Servirebbero procedure di regolarizzazione. Torniamo al punto di partenza, cioè al fatto che nei Cpr sono trattenuti non autori di reati, non sospettabili di esserlo, non condannati per averli commessi, ma persone prive di documenti regolari: tutta l'attenzione dovrebbe essere concentrata sulla possibilità di disporre di documenti regolari.

Quindi se fosse più semplice mettersi in regola non ci sarebbe bisogno dei centri per trattenere chi va rimpatriato?

Negli ultimi Cpr da me visitati, circa cinque anni fa, avevo incontrato stranieri che si trovavano lì dentro perché, dopo aver lavorato con un contratto di lavoro regolare, la perdita del posto di lavoro aveva comportato (dopo un determinato periodo di tempo) anche la perdita del permesso di soggiorno, per sé e per i propri congiunti. Questa è una situazione di palese ingiustizia. E spiega anche cos'è questa popolazione dei Cpr, quali figure vi si trovano e quindi quali ingiustizie perpetuano. Lavorando sulla regolarizzazione di coloro che vogliono e possono lavorare nel nostro Paese, si possono sottrarre all'irregolarità molte decine di migliaia di persone. E sottraendoli alla irregolarità li si sottrae anche al rischio di finire dentro una dimensione criminale, e di costituire quel fattore di allarme sociale che tuttora occasionalmente viene sollevato in relazione alla loro presenza.

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