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Malta, 3 migranti in carcere da 7 mesi: accusati di aver dirottato una nave per non tornare in Libia

Sono un ivoriano di 15 anni e due guineani di 16 e 19 anni i tre adolescenti che lo scorso marzo sono stati arrestati a Malta dopo aver dirottato la nave che li aveva soccorsi, il mercantile El Hibu, affinché non facesse ritorno in Libia, dove li attendevano violenza e sopprusi. Oggi dovrebbe continuare l’udienza: Amnesty International si è detta preoccupata per quanto riguarda la gravità delle accuse formulate nei confronti dei tre giovani.
A cura di Annalisa Girardi
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Dovrebbe continuare oggi l'udienza per il caso El Hibu, la nave mercantile dirottata lo scorso marzo da tre migranti adolescenti per impedire che la nave li riportasse, insieme al centinaio di rifugiati con cui viaggiavano, verso la Libia dopo averli soccorsi nel Mediterraneo centrale. I tre adolescenti richiedenti asilo, un ivoriano di 15 anni, e due guineani di 16 e 19 anni, sono stati arrestati al loro arrivo a Malta, destinazione verso la quale la nave è stata deviata.

"L'udienza giudiziaria di oggi è stata rinviata, ma ci sono ancora 3 ragazzi arrestati a Malta per aver difeso la propria vita e quella di altri 105 rifugiati: sono accusati di terrorismo per aver convinto l'equipaggio della nave cisterna a salvarli per portarli a Malta invece di tornare in Libia", scrive la Ong Sea Watch su Twitter.

La vicenda

Lo scorso 28 marzo 2019 El Hiblu, una nave con equipaggio turco e battente bandiera di Palau, aveva salvato circa un centinaio di migranti, fra cui diversi minori, a largo delle coste libiche. Dopo aver soccorso il barcone in difficoltà, tuttavia, El Hibu non aveva preso la rotta dell'Europa: quando i migranti si sono resi conto che sarebbero stati riportati in Libia sono iniziate le tensioni a bordo. I tre giovani quindi, avrebbero preso con la forza il controllo della nave costringendo l'equipaggio a dirigersi verso l'Europa.

Amnesty International, che si è occupata del caso, dopo aver parlato con i naufraghi a bordo della nave, racconta che molti cominciarono a gridare di voler morire in mare piuttosto che fare ritorno in Libia: alcuni migranti minacciarono di gettarsi in acqua. La Ong ha inoltre riportato la testimonianza di una persona a bordo: "e persone cominciavano a piangere e gridare perché avevano paura di tornare indietro, e alcune avevano anche dei bambini. Gridavano: ‘ Non vogliamo andare in Libia’, ‘Preferiamo morire’, perché se ti riportano in Libia ti mettono in uno stanzone, ti torturano, puoi mangiare solo una volta al giorno. Quando portano le donne in prigione, i libici vengono a scegliere quelle che gli piacciono di più e le portano via con la forza. E altra gente ti mette in una prigione privata e chiama la tua famiglia chiedendole di portare dei soldi in cambio della libertà".

A marzo il ministro dell'Interno italiano era Matteo Salvini, il quale aveva commentato la vicenda definendo i giovani profughi dei "pirati" e intimando loro che "l'Italia l'avrebbero vista solo con il cannocchiale".

Il processo

Amnesty International si è detta inoltre preoccupata per quanto riguarda la gravità delle accuse formulate nei confronti dei tre giovani: "Non viene presa in considerazione l’esistenza di fattori che potrebbero escludere o attenuare la responsabilità penale. I reati di cui sono stati accusati appaiono sproporzionati rispetto alle azioni a loro imputate e non riflettono il fatto che le loro vite sarebbero state a rischio se fossero stati riportati in Libia. Amnesty International esprime inoltre preoccupazione per il trattamento dei ragazzi e il loro diritto di essere giudicati in un processo equo a Malta".

In particolare, la Ong ritiene discutibile il richiamo, nelle accuse formulate da La Valletta, alla normativa antiterrorismo. "L’Ufficio del procuratore dovrebbe tener conto dell’esistenza di fattori che escludono la responsabilità penale, dal momento che i giovani appaiono avere ragionevolmente agito per difendere se stessi e gli altri rifugiati e migranti in maniera proporzionata al grado pericolo che un eventuale ritorno in Libia avrebbe comportato per tutti". L'organizzazione, riguardo al caso, ha anche criticato l'Europa per continuare nella via della collaborazione con la Libia, un Paese dove i migranti "sono sistematicamente trattenuti in detenzione arbitraria in condizioni terribili ed esposti a tortura, stupro, e varie forme di sfruttamento. È una realtà riconosciuta a livello internazionale, Eu compresa, che la Libia non è un porto sicuro per lo sbarco dei rifugiati e migranti soccorsi in mare".

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