Era il 14 febbraio del 2012 quando l’allora Presidente del Consiglio Mario Monti metteva la parola fine al sogno di ospitare le Olimpiadi a Roma nel 2020: “Siamo arrivati alla conclusione unanime che il governo non ritiene che sarebbe responsabile nelle attuali condizioni dell’Italia assumere un impegno di garanzia. Non ci sentiamo di prendere un impegno finanziario che potrebbe in futuro mettere a rischio il denaro dei contribuenti”.
Nel dicembre del 2014 il Presidente del Consiglio Matteo Renzi invece lancia la candidatura di Roma e dell’Italia ad ospitare le Olimpiadi del 2024: “Da gennaio partirà il Comitato promotore sotto la guida di Giovanni Malagò e non lo faremo con lo spirito di De Coubertin, per partecipare: lo faremo per vincere, statene certi. Il Governo italiano è pronto insieme al Coni a fare la propria parte, per un progetto fatto non di grandi strutture ma di grandi persone. Sarà una delle cose più belle da fare. Ci riempie il cuore di orgoglio, emozione e difficoltà”.
Cosa sia cambiato in questi due anni e mezzo, non è poi così chiaro. C’è un Governo che si regge su una coalizione di partiti normalmente schierati su fronti opposti; c’è un percorso di riforme strutturali impostato ma ancora lontano dal suo completamento; ci sono dati drammatici (e peggiori) per quel che riguarda il debito pubblico, la finanza pubblica, la disoccupazione (in particolar modo quella giovanile), il prodotto interno lordo e via discorrendo; c’è lo stesso capo dello Stato (ed è di nuovo “al termine” del suo mandato); c’è una legge elettorale indecente che non garantisce la governabilità (al momento, non solo per noi, c’è il Consultellum); ci sono (oggi come allora, forse più di allora) gravosi impegni presi con le istituzioni europee; c’è, oggi come allora, una Capitale sull’orlo del default (ieri era per cause “finanziarie”, oggi politiche e strutturali); c’è, oggi come allora, la necessità di uscire compiutamente dalla logica dell’emergenza; c’è, immutabile, il dato imbarazzante sulla corruzione.
E allora, cosa è cambiato, ci chiediamo da bravi gufi e rosiconi? Forse che nel febbraio 2012 le aspettative non fossero “colme d’ottimismo” e di speranza per la ripresa economica? Certo che lo erano, basterebbe leggere le cronache politiche di allora, con la “ripresa ad un passo”, la crisi alle spalle e l’Italia che sarebbe tornata a fare l’Italia. E c’era anche allora l’uomo della Provvidenza, in quel caso magari “raccomandato” dall’Europa e (questo è evidente) senza alcun tipo di legittimazione da parte degli italiani (e no, il caso Renzi è diverso e lo sarebbe anche senza considerare il voto delle Europee, che ha un enorme valore politico).
In più c’è il quadretto di Mafia Capitale, con le connivenze fra politica e malaffare, con i dubbi (per usare un eufemismo) sulla classe politica romana, con gli sciacalli fra imprenditori, amministratori locali, funzionari di partito e via discorrendo. Due anni fa, avevamo apprezzato la scelta di Monti, sinceramente:
È una decisione che spazza via gli appetiti ed i “sogni di gloria” del solito gruppetto di impresari – faccendieri – speculatori pronto ad ogni “emergenza” o “grande evento” che si presenti. Già, perché è inutile girarci intorno e non lanciarsi neanche in “imprese del genere”. Fino a che non saranno trasparenza, legalità e buonsenso a guidare le macchine organizzative di amministrazioni locali e Governi centrali. Fino a che la corruzione resterà pratica diffusa a tutti i livelli. Fino a che la “politica dell’emergenza” resterà l’unica soluzione per rimpinguare i bilanci e “far girare l’economia”. Fino a che non passerà il concetto che per rendere vivibile, funzionale e moderna una città non è necessario attendere la benedizione divina di un “evento colossale
Perché oltre all'acclarata inadeguatezza del nostro Paese ed agli evidenti limiti strutturali (costi, infrastrutture e via discorrendo), oltre al problema trasparenza ed onestà, oltre alle difficoltà della classe politica, c'è un concetto di fondo: la logica dei grandi eventi e le politiche dell'emergenza hanno fallito. E ci hanno portato nel baratro, passo dopo passo, appunto, aprendo voragini nei conti pubblici e contribuendo a "formare" una classe dirigente ed imprenditoriale malata.
Il cambio di passo di Renzi è però evidente e magari è anche giusto sia così: dal (presunto) buonsenso all’ottimismo e alla “narrazione della speranza”, che peraltro non riguarda solo la questione Olimpiadi. È il tentativo di invertire la rotta “grazie” alla spinta emozionale di un puro atto di bonapartismo: una decisione presa “a prescindere” da considerazioni di carattere pratico, da analisi politiche di lungo periodo o da valutazioni di carattere finanziario. È il modo per veicolare un messaggio chiaro al Paese: l’Italia può farcela, io per primo ci credo e non mi faccio sfuggire alcuna occasione per ribadirlo. Che poi questo sia sufficiente, è ancora tutto da dimostrare.