C'era grande curiosità (mista a tanto scetticismo) per le parlamentarie del Movimento 5 Stelle, il primo tentativo di primarie online per la scelta dei candidati al Parlamento. Per la prima volta, di questo va dato atto al Movimento, i cittadini conosceranno con largo anticipo i candidati al Parlamento alle prossime elezioni. Ma soprattutto, i cittadini scelgono da chi essere rappresentati in campagna elettorale e non delegano la scelta alle segreterie di partito. E fin qui tutto bene: un tentativo apprezzabile, che probabilmente apre la strada alla definitiva affermazione del movimento guidato da Beppe Grillo. Un esperimento, però, che ha limiti enormi e pecca di una impostazione iniziale estremamente discutibile. Perché, se Grillo parla di "errori e ritardi" che tutto sommato sarebbero anche accettabili (date le contingenze in cui si chiedeva ai militanti di esprimere un parere e l'assoluta novità della consultazione, per giunta gratuita), quello che non è accettabile è l'incongruenza di fondo con gli stessi proclami della disciplina a 5 stelle.
A partire da quello che sembra ormai un fatto: i paladini della Rete, in realtà la usano poco e male, scontando un ritardo tecnologico, sia dal punto di vista dell'innovazione che dell'utilizzo dei servizi, a tratti davvero imbarazzante. Dalla fantomatica lotta contro gli hacker di cui parlava Grillo allo "scrutinio dei voti" (?), passando per le difficoltà tecniche della piattaforma e per un concetto di sicurezza del tutto opinabile, fino ad arrivare all'utilizzo dei social network (non ci sembra di intravedere una strategia granché innovativa, anche per le modalità di creazione e diffusione del materiale video). E ci sarebbe tanto da dire anche sulla famosa "interazione" tra i cittadini che è uno dei cavalli di battaglia dell'esperienza a 5 Stelle. Insomma, fermo restando la peculiarità che il concetto di "rete" conserva nella riflessione grillina, dai paladini della cyberutopia e del primato dell'online era lecito attendersi molto, ma molto di più. A livello tecnologico e, per così dire, ideologico.
Se novantamila voti vi sembrano pochi…avete ragione. Lo diciamo subito, a scanso di equivoci: poco più di novantamila voti decideranno probabilmente la composizione di un quinto / un settimo del prossimo Parlamento (e ancora non si è capito cosa si intenda per "voti", dal momento che ogni votante aveva a disposizione 3 preferenze). Detta in altro modo, è paradossalmente molto più difficile essere eletto consigliere comunale in un paesino di medie dimensioni che alla Camera dei Deputati sotto le insegne a 5 stelle. Colui che sarà capolista in Sicilia (e che peraltro alle comunali di Palermo aveva ricevuto oltre 3200 preferenze), è praticamente già a Montecitorio, legittimato da 147 preferenze, cifra che lo terrebbe fuori dal consiglio comunale di una cittadina di 7-8mila abitanti. Un dato che significa tutto e nulla, sia chiaro, ma che rende meno "pomposo" il paragone con le quasi contemporanee primarie del centrosinistra, in cui hanno votato "3 milioni di folli".
Trasparenza, questa sconosciuta – Le parlamentarie sono il naufragio della trasparenza, su questo ci sono pochi dubbi. Nei fatti, non si conosce praticamente nulla e ai militanti si chiede "cieca fiducia". Non c'è un comitato di garanzia, non si hanno notizie su come verranno utilizzati i dati personali, su come sarà tutelata (e se lo sarà) la segretezza del voto, non si sa quanti sono gli iscritti al portale, non si conoscono le procedure di analisi e certificazione dei voti, non si sa hanno certezze sul fatto che gli "attacchi hacker" siano andati a vuoto. Insomma, non si sa nulla, se non un elenco di volti, nomi e la solita promessa: "Ci vedremo in Parlamento, sarà un piacere".