Dopo una pausa estiva piuttosto lunga (le ultime sedute di Camera e Senato si sono svolte il 5 agosto), è ripreso il lavoro del Parlamento. Dal primo settembre è tornata al lavoro la Commissione Affari Costituzionali sul disegno di legge 1429-B, di revisione della parte II della Costituzione che porta la firma del Presidente del Consiglio e del ministro per le Riforme Maria Elena Boschi.
Si tratta della terza lettura del provvedimento al Senato, che arriva dopo le modifiche votate alla Camera dei deputati ed è preceduta da una lunga guerra di posizione all'interno della maggioranza e in particolare del Partito Democratico. Il provvedimento è poi oggetto di una delle più consistenti campagne di ostruzionismo della recente storia parlamentare.
Sono infatti 513.450 gli emendamenti presentati: 510mila dei quali frutto del lavoro di Roberto Calderoli, senatore della Lega Nord. La tabella aiuta a dare le esatte dimensioni della pratica ostruzionistica:
L’illustrazione degli emendamenti comincerà il 15 settembre e l’esame potrebbe avvenire “su iPad”, per evitare di stampare tonnellate di carta, oppure con l’ausilio di uno schermo gigante. Uno stratagemma che renderebbe più agevole il compito della Commissione ma che non servirà ad accorciare di molto i tempi di un esame che si annuncia lungo e complesso. Qualche settimana fa, non si sa quanto provocatoriamente, il leghista Calderoli aveva proposto una sorta di scambio: il ritiro degli emendamenti che portano la sua firma in cambio della grazia all’imprenditore Monella, condannato per aver ucciso un albanese che cercava di portargli via il Suv.
Al di là delle problematiche "tecniche", restano le distanze politiche sul merito del provvedimento. Renzi e la Boschi si sono detti convinti di avere i numeri necessari a far approvare il provvedimento licenziato dalla Camera, ma allo stesso tempo hanno ri-aperto il tavolo di trattative con la minoranza del PD. Non sull'articolo 2, quello che affronta il tema dell'elettività dei senatori e che rappresenta lo scoglio più arduo da superare per la maggioranza. A blindare l’articolo 2 anche la relatrice Finocchiaro, che ha spiegato: “Capovolgere l’impostazione degli articoli 1 e 2 non è possibile da un punto di vista regolamentare e rischia di disperdere la possibilità di raggiungere il traguardo”. E non è andata a buon fine nemmeno la mediazione disperata dei pontieri della maggioranza di disegnare l’elezione dei consigli regionali in modo tale da permettere ai cittadini di votare i consiglieri “destinati” al seggio in Senato.
Insomma, cosa dicono i numeri in Parlamento?
Non è semplicissimo fare un calcolo dei voti a disposizione della maggioranza al Senato, considerando alcune posizioni “in bilico” e il fatto che non sia cominciata la fase di discussione vera e propria degli emendamenti. Il Partito Democratico ha al momento 112 senatori (il Presidente Grasso non vota), Area Popolare ne ha 35, il gruppo PSI – Autonomie 19 (cui vanno aggiunti altri 6 senatori del Misto che hanno sempre appoggiato la maggioranza e altri 2 / 3 membri del Gal). Il totale è di 174 voti, cui vanno aggiunti i 10 senatori verdiniani, che hanno annunciato il loro voto favorevole. Dunque la maggioranza avrebbe 184 voti, con il quorum fermo a 161.
Il punto è che la minoranza del Partito Democratico sulla carta può contare su 28 voti, facendo scendere la dote renziana a quota 156. Dunque, sull’articolo 2 (e in generale sugli emendamenti presentati dalla minoranza dem), il Governo potrebbe andare sotto? La possibilità è più che concreta, considerando anche che la minoranza sembra compatta e determinata ad andare fino in fondo. Ma la partita è aperta e si gioca voto su voto (già in queste ore si parla di 25, non 28 senatori dissidenti), non solo in casa PD. E poi, c’è sempre l’arma della fiducia che, stando a qualche interpretazione regolamentare, potrebbe essere posta sul solo articolo 2. Si dirà che approvare la riforma della Costituzione a colpi di fiducia non è proprio il massimo, ma, in fondo, importa a qualcuno?