Che la composizione del Governo Letta non rifletta compiutamente i nuovi equilibri determinatisi dopo lo strappo di Silvio Berlusconi è cosa abbastanza chiara. Del resto, se il Partito Democratico (accreditato dai sondaggi al 30% e con 401 parlamentari) è rappresentato da 9 ministri, 5 viceministri e 12 sottosegretari, bisogna considerare che il Nuovo Centrodestra (tra il 3 e il 4 percento nei sondaggi e con 60 parlamentari) ha ben 5 ministri, il vicepresidente del Consiglio, 1 viceministro e 8 sottosegretari, nonché gli equilibri interni a quella che una volta era Scelta Civica.
Le valutazioni non sono soltanto di ordine strettamente numerico, ma rimandano al mutare degli equilibri all'interno delle stesse forze politiche che ancora sostengono il Governo di Enrico Letta. A cominciare ovviamente dal Partito Democratico, passato dalla reggenza Epifani alla gestione Renzi, con la determinazione di una situazione paradossale per la quale il partito – architrave del Governo esprime ministri "non in linea" col segretario eletto dai militanti (con l'eccezione di Delrio e, certo, nella constatazione del fatto che le appartenenze di area sono mutevoli e non necessariamente vincolanti). Ma senza dimenticare appunto la frammentazione di Scelta Civica, con le tensioni che convergono sul ministro Mauro, nonché le perplessità su alcuni "tecnici" che potrebbero essere messi in discussione, sia pure per motivazioni diverse.
A questo punto verrebbe dunque naturale pensare ad un riequilibrio, con l'avvicendamento magari in ruoli chiave e nell'ottica del rafforzamento del Governo. Di questo avviso è Calvo, che su Europa ragiona: "Flavio Zanonato, Enrico Giovannini, Massimo Bray, Mario Mauro o Gianpiero D’Alia e almeno uno tra Maurizio Lupi e Gaetano Quagliariello: i nomi dei ministri in bilico sono sulla bocca di tutti, anche se ufficialmente di rimpasto di governo nessuno vuole sentir parlare, almeno per ora. [..] Il ministro per i rapporti con il parlamento vede in un maggior coinvolgimento del segretario dem nella squadra di governo una garanzia per la sopravvivenza dell’esecutivo". Il punto è che, come notano un po' tutti, a non condividere i ragionamenti intorno al rimpasto sono proprio i due principali protagonisti, Enrico Letta e Matteo Renzi.
Il Presidente del Consiglio ha il terrore di intervenire sui delicatissimi equilibri di Governo e ha sempre difeso a spada tratta l'operato del Governo, non mostrando cedimenti nemmeno di fronte a situazioni al limite dell'improponibile, come nel caso del Salva Roma, della schizofrenia sull'Imu e dei casi Sahalabayeva e Ligresti (che hanno coinvolto figure chiave dell'esecutivo). Tanto più che, sforbiciando la componente del Nuovo centrodestra, autorizzerebbe il ragionamento che, in nome del tramonto delle larghe intese, implica anche che il referente del Partito Democratico a Palazzo Chigi abbia bisogno di una vera legittimazione. I numeri, infine, sono rassicuranti ma forse non al punto da garantirgli la possibilità di una ulteriore forzatura nella disastrata area centrista. Insomma, al momento Letta avrebbe molto da perderci e poco da guadagnare da un rimpasto.
Certo, se a chiederlo fosse direttamente Matteo Renzi le cose cambierebbero. Perché Letta non potrebbe tirarsi indietro ma al contempo avrebbe garanzie sulla stabilità a sinistra dell'esecutivo e fermerebbe il fuoco amico che, ad intervalli più o meno regolari, parte dall'interno del Pd ad ogni minima incertezza dell'esecutivo. Ma, c'è da scommetterci, il Sindaco di Firenze non si farà tirare dentro. Per una serie di ottime ragioni, verrebbe da dire. Innanzitutto verrebbe meno quel senso di alterità e discontinuità che si è premurato di "comunicare" fin dai primi giorni della sua elezione ("Io sono totalmente diverso da Letta ed Alfano"); poi legherebbe anche il suo destino a quello di un esecutivo nato tra mille peripezie e destinato probabilmente ad implodere; lascerebbe la palla in mano agli avversari politici all'opposizione; infine autorizzerebbe il retropensiero del poltronismo e della logica dello spoil sistem. Insomma, è praticamente impossibile che Renzi accetti di farsi legare le mani per qualche poltrona.