“Abbiamo iniziato con gli 80 euro, poi abbiamo proseguito con l’Irap – costo del lavoro, ora se le riforme andranno avanti, nel 2016 via tutte le tasse sulla prima casa, nel 2017 via la tassa Ires, nel 2018 scaglioni Irpef e pensioni. Se le riforme andranno avanti, in 5 anni saremo in condizione di tagliare 50 miliardi di euro in 5 anni senza tagliare il debito”. Con queste parole il Presidente del Consiglio Matteo Renzi ha anticipato il piano del Governo per alleggerire la pressione fiscale, riducendo la tassazione diretta alle famiglie e alle imprese. Per i dettagli, bisognerà attendere ancora, anche se, al di là delle indiscrezioni e delle (a volte strampalate) ricostruzioni dei giornali, è possibile fare un primo punto sullo stato dell’arte.
Prima di tutto, bisogna considerare qual è al momento la pressione fiscale in Italia relativamente ai "capitoli" che Renzi intende affrontare. Il dato per il 2014 parla di una pressione fiscale sostanzialmente stabile rispetto al 2013, al 43,3% del Pil, cifra sufficiente a collocare il nostro Paese al sesto posto a livello europeo (per avere qualche riferimento di una certa rilevanza si pensi che la Francia è al 47,6%, la Svezia al 44,6%, la Germania al 39,5%, il Regno Unito al 34,9%, la Spagna al 33,7%, dati Istat); la pressione effettiva è invece al 54% e l'Italia è prima in Europa, considerando che in Francia è al 50,3%, in Belgio al 49,3%, in Austria al 46,8%, in Svezia al 46,7%, in Norvegia al 42,3%, in Olanda al 40,8%, nel Regno Unito al 40,4%, in Spagna al 36,7% (dati Confcommercio); la tassazione sul lavoro dipendente è tra le più alte in Europa (qui i dati per singolo Paese); la tassazione sulle imprese (tenuto conto della complessità di effettuare calcoli) è in linea con il modello francese ma ampiamente superiore a quella della Germania e soprattutto del Regno Unito; infine, la tassazione sulla prima casa è in linea con quella degli altri Paesi europei (sì, negli altri Paesi europei la prima casa viene tassata, anche se in maniera meno schizofrenica).
Intervenire su tali aspetti è giudicato prioritario più o meno da una decina di Governi, anche si cambiamenti concreti sono stati pochi e con effetti limitati. Renzi, oltre alla conferma degli 80 euro (che vale una decina di miliardi) e della componente lavoro dell'Irap, ha promesso per il 2016 l'abolizione della Tasi e dell'Imu sulla prima casa. Non è semplicissimo calcolare la cifra complessiva di tale eliminazione, che dovrebbe comunque aggirarsi tra i 4 ed i 5 miliardi di euro. Il piano fiscale, dunque, solo per il 2016 (al netto degli interventi in altri settori) prevede una spesa che si aggirerà intorno ai 20 miliardi di euro. A tale cifra vanno aggiunte le altre spese per le quali il Governo si è già impegnato.
Per evitare che scattino le clausole di salvaguardia del Governo Letta (con annesso aumento Iva), Renzi e Padoan devono trovare 3,3 miliardi di euro (ne serviranno poi 6,3 nel 2017 e altrettanti nel 2018); per sterilizzare quelle inserite nella legge di stabilità ne serviranno poi altri 12,4 (17,8 nel 2017), per lo split payment serviranno poi altri 1,7 miliardi. Il totale di risorse “già impegnate” per il solo 2016 sfiora dunque i 18 miliardi di euro, che sommati ai circa 20 miliardi di cui sopra, ai 3-5 miliardi di euro necessari per il rinnovo dei contratti della PA (come da sentenza Consulta) fa lievitare il conto complessivo oltre i 40 miliardi di euro (e al netto di altri interventi, ovviamente).
Dunque? Il problema è riassunto da Massimo Bordignon su LaVoce:
Qui il problema sono le coperture, ovvero dove trovare i circa 45 miliardi necessari a regime secondo le anticipazioni della stampa. Anche prendendo per assodata la crescita nominale prevista dal governo per i prossimi anni, l’incremento automatico del gettito che questa comporta non è certamente sufficiente per finanziare gli interventi previsti, oltretutto dovendo garantire il rispetto degli impegni europei e la riduzione del debito pubblico. I tagli alla spesa pubblica rappresentano l’ovvia risposta, ma anche qui bisognerebbe indicare dove e come.
La spending review, secondo le ultime indiscrezioni, dovrebbe consentire risparmi per circa 10 miliardi di euro, anche se si attende di conoscere nel dettaglio il piano del commissario Gutgeld. Altre risorse potrebbero arrivare dalla riforma della Pubblica Amministrazione (che sta per essere completata con gli ultimi passaggi in Parlamento). Il resto della manovra dovrebbe essere fatta "a debito", ovvero sfruttando il margine fra il rapporto deficit / Pil stimato per il 2016 (1,8%) e il famoso limite del 3%: complessivamente si tratterebbe di una cifra che vale poco meno di 20 miliardi di euro. Per compiere un tale passo, aumentare il deficit (Repubblica scrive che l'intenzione di Renzi e Padoan è quella di portare il rapporto deficit / Pil fino al 2,7%) ed ottenere risorse essenziali per il piano fiscale, il Governo ha però bisogno della benedizione europea. E qui nascono i veri problemi, come riassume Mario Seminerio:
Si, ma per quale motivo la Ue dovrebbe consentire all’Italia di aumentare il deficit? E qui Renzi risponde “perché consente alla Francia, da sempre, di fare quello che vuole col deficit!”. Come argomentazione appare un po’ gracile, a dirla tutta. […] Renzi tenterà di negoziare altro deficit con la Ue, al grido di “e gli altri, allora?”. Se mai lo ottenesse, e non è chiaro in cambio di quali “riforme”, avremo nuovo debito, che è la somma pluriennale di più deficit. Forse questo concetto Renzi non lo ha ancora afferrato, o forse pensa di poter piantare una zeppa nella costruzione attraverso le “privatizzazioni” o la Cassa Depositi e Prestiti.
Insomma, ancora una volta ci si trova costretti a ragionare sugli annunci e non sui numeri, sulla propaganda politica e non sulla piattaforma programmatica. E ancora una volta il dibattito sulla tassazione diventa terreno di scontro non fra opposte visioni economico – politiche ma fra slogan e proclami da campagna elettorale. Ma in fondo, che fretta c'è? La sensazione è che questo teatrino (Imu sì, Tasi no, Irap sì, Irap no, Irap forse eccetera) durerà a lungo, molto a lungo.