Dopo la decisione di ricorrere al voto di fiducia, non sembrano esserci più ostacoli di sorta all'approvazione della tanto discussa manovra finanziaria del Governo Monti. Un pacchetto di misure, più volte riveduto e corretto (dopo polemiche e trattative) che dovrebbe portare nelle casse dello Stato circa 24 miliardi di euro. Una manovra consistente che va a sommarsi a quelle approvate solo qualche mese fa dal Governo Berlusconi, per un saldo di circa 45,5 miliardi di euro. Un insieme che dunque sfiora i 70 miliardi di euro, una quota che potrebbe addirittura non essere sufficiente, stando agli ultimi rumors che parlano di una "correzione primaverile" di altri 20 miliardi di euro.
Numeri che acquistano un significato enorme soprattutto quando si scende nel dettaglio e si prova a capire quanto e come la salvezza dell'Italia gravi sulle spalle dei cittadini italiani. Secondo un primo approssimativo calcolo fatto dall'Adusbef, gli effetti (diretti e indiretti) della manovra Monti comporteranno un esborso medio per ogni famiglia italiana di circa 1,150 euro. Nel dettaglio, si tratterebbe di circa 200 euro di "tagli" (con particolare riferimento allo stop all'indicizzazione delle pensioni oltre i 1400 euro) e 950 di nuove imposte. In particolare, da un calcolo sommario, la nuova versione dell'Ici (l'imposta municipale unica), escludendo le detrazioni di 50 euro per ogni figlio a carico introdotte dopo la discussione parlamentare, comporterà un aggravio medio di circa 400 euro; l'addizionale regionale Irpef (aumentata dello 0,3%) costerà in media 80 euro annui, mentre le accise sulla benzina peseranno per oltre 120 euro e l'aumento dell'IVA potrebbe comportare esborsi per quasi 300 euro.
Se poi a tutto ciò aggiungiamo le considerazioni sulla radicalità dei tagli decisi da Tremonti, con misure che pesano per circa 2000 euro sulle singole famiglie, si capisce come il quadro della situazione sia piuttosto preoccupante. E soprattutto, si comprende con maggiore chiarezza quanta distanza vi sia tra la messa in pratica di direttive europee nel segno del rigore e dell'intransigenza e il bisogno di una manovra equa ed in grado di "rimettere in moto l'Italia". La ferrea legge dei numeri del resto basta a scavalcare ogni accusa di populismo, demagogia o "propaganda". Non vi è dubbio alcuno che a pagare, in termini estremamente concreti, saranno soprattutto le fasce medio – basse, le famiglie, i dipendenti pubblici ed i pensionati. E se è la situazione di emergenza economico – finanziaria (per tacere di quella democratica) a giustificare (?) provvedimenti di tale impatto, che almeno ci sia risparmiata la predica sui "buoni propositi", sull'equità e sulla necessità che siano i tecnici a portarci fuori dal pantano della crisi. Il punto del resto è che semplicemente l'equità non è tra i propositi che muovono l'azione di questo Governo, un esecutivo in gran parte di "figlio dello stesso sistema che ha generato la crisi". E dice bene Guglielmo Forges Davanzati su Micromega:
Se, come nel caso di questo Esecutivo, si fa propria una linea di politica economica che cerca di coniugare tenuta dei conti pubblici e provvedimenti per la crescita interamente declinati dal lato dell’offerta, per quale ragione dovrebbe rendersi necessario anche l’impegno di risorse per provvedimenti di ridistribuzione del reddito? In altri termini, dal punto di vista di questo Governo, l’equità a cosa serve?
Ed è per questo ed altri motivi (la linea economica dello stesso Monti, l'indipendenza da logiche del consenso, le contingenze istituzionali) che non sembra poter esserci spazio per "il concetto stesso di equità". Insomma, questo non è il Governo che darà risposte ai problemi concreti dei cittadini, questo è il Governo che metterà a posto i conti (o almeno proverà a farlo), a prescindere dai contraccolpi "sociali". E se ciò ci sembra (come lo è, del resto) paradossale, non consola che a "vigilare" e a cercare di calmierare il "rigor Montis", debba essere quella stessa classe politica che ha contribuito a creare il disastro.