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Ma non saranno i processi di Berlusconi a far cadere il Governo Letta

Dopo la condanna in appello al processo Mediaset e in attesa della sentenza di primo grado per l’affare Ruby, Silvio Berlusconi ha messo in atto l’ennesima prova di forza contro la magistratura. Ma Letta non rischia, ecco perché.
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Nel giorno della requisitoria di Ilda Boccassini nel processo Ruby, che vede imputato Silvio Berlusconi con l'accusa di concussione e prostituzione minorile, i ministri del Governo Letta restano "reclusi" nell'abbazia senese. Una riunione nella quale Letta cercherà di dipanare gli ultimi nodi, dopo la manifestazione di Brescia e la polemica con il suo vice Alfano. Del resto, che la strada dello stop alla presenza pubblica dei ministri in tv ed alle manifestazioni non sia la soluzione ideale è cosa abbastanza condivisa. E, con buona probabilità, dal ritiro senese la squadra di governo uscirà, almeno ufficialmente, più compatta e con un nuovo compromesso che permetterà al Presidente del Consiglio di muovere i primi passi con relativa tranquillità.

Il punto è che Letta sa benissimo che i procedimenti giudiziari a carico di Berlusconi non sono un problema per la stabilità dell'esecutivo. Anzi, paradossalmente proprio la volontà di chiudere la contesa con la magistratura è uno dei fattori che "garantisce" la sopravvivenza dell'esecutivo. In queste condizioni, con una condanna in appello e con un'altra sentenza in arrivo, Berlusconi non può in alcun caso trascinare il Paese alle urne, rischiando una prova di forza dalle conseguenze imprevedibili. Per due ordini di motivi. In primis perché se è vero che i sondaggi lo danno ancora in netto vantaggio, allo stesso tempo presentarsi da candidato alla presidenza del Consiglio con una doppia, forse tripla, condanna non è certamente la condizione ideale. In secondo luogo perché, tutto considerato, quello di Enrico Letta è, nella visione del Cavaliere, il "migliore dei governi possibili".

La reggenza dell'esponente democratico, infatti, consente al Popolo della Libertà un ampio margine di manovra e contemporaneamente allo stesso Cavaliere di mantenere una "certa distanza" dai provvedimenti più impopolari (arma usata contro Mario Monti nell'ultima campagna elettorale). Ma soprattutto è precondizione di quella "pacificazione" che, nell'orizzonte ideale di Berlusconi, dovrebbe investire anche le sue vicende giudiziarie. È chiaro a tutti, infatti, che il tempo delle "riforme epocali della giustizia" è ormai tramontato, non fosse altro che per questioni di carattere "tecnico" (nessuna possibilità di bloccare i processi in corso, o di trascinarli verso la prescrizione, come avvenuto per il caso Mills). Resta aperta la possibilità "aministia", ipotesi concretizzabile appunto solo con un governo di pacificazione nazionale.

Quello che non è cambiato è invece la necessità di porsi come radicalmente alternativi alla "magistratura politicizzata", posizione gradita allo zoccolo duro degli elettori e non priva di una certa logica da un punto di vista strettamente politico. Perché ha nei fatti obbligato il ministro della Giustizia a far spallucce di fronte alla manifestazione di Brescia, con la presenza di Alfano e ha costretto Letta ad ingoiare il primo vero boccone amaro della sua esperienza.

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A Fanpage.it fin dagli inizi, sono condirettore e caporedattore dell'area politica. Attualmente nella redazione napoletana del giornale. Racconto storie, discuto di cose noiose e scrivo di politica e comunicazione. Senza pregiudizi.
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