Ad intervalli più o meno regolari torna l’emergenza criminalità nel nostro Paese. È un fenomeno piuttosto difficile da spiegare, con una genesi spesso del tutto indipendente dai “dati d’insieme”, ma legata ad episodi più o meno isolati ma di grande impatto “emotivo” sulla popolazione. Da un momento all’altro ci scopriamo insicuri, terrorizzati, in preda al panico di fronte a bande di criminali e delinquenti che mettono a ferro e fuoco le città, insidiano la nostra sicurezza domestica e attentano alla nostra stabilità finanziaria. Si tratta di “processi” noti da tempo e su cui esiste una vasta letteratura, anche considerando che la “sicurezza percepita” è uno dei metri di valutazione principali della qualità della vita dei cittadini, uno dei fattori che determinano il rapporto con lo Stato e spesso un discrimine decisivo per le scelte elettorali (ed è anche per questo che non c’è una sola forza politica che sia immune dal “virus” dell’allarmismo e dell’intervento emergenziale).
In tal senso, è molto interessante il ragionamento che faceva qualche anno fa l'allora comandante generale dell’Arma dei Carabinieri Guido Bellini:
Da tempo assistiamo al progressivo emergere di una duplice dimensione del concetto di sicurezza. La “sicurezza reale” vale a dire quella oggettivamente rilevabile anche dai dati statistici, e la “sicurezza percepita” vale a dire quella avvertita soggettivamente dall’opinione pubblica e dai singoli cittadini. Queste due prospettive non sempre coincidono, anzi tendono a divaricarsi a causa dell’emotività che è legata alla percezione soggettiva.
Una riflessione che viene portata alle estreme conseguenze, tanto è vero che nelle linee guida si legge chiaramente come l’obiettivo debba essere quello di “spezzare questa spirale perversa, facendo forte prevenzione prima di tutto e poi perseguendo gli eventuali criminali, ma ricercando anche tutti i modi possibili per liberare i cittadini dalla paura”. Ma come si massimizza il livello di sicurezza percepita? È questo il problema, soprattutto considerando l'effetto megafono dei media (sui social network il discorso è ancora più ampio e, a parere di chi scrive, interessante) e le "interferenze interessate" di determinati gruppi organizzati, siano comitati, movimenti politici, corporazioni.
La risposta più efficace è anche quella più scontata: parlare il linguaggio della verità, diffondere dati corretti ed evitare strumentalizzazioni. È chiaro però che la sfera della sicurezza individuale, proprio per la sua centralità, è meno permeabile alla minimizzazione (prevale sempre, nella vita quotidiana, il timore della sottovalutazione del rischio) e ogni eccesso in tal senso risulterebbe finanche inappropriato. Ma allo stesso tempo non avrebbe senso avallare una ricostruzione che ha pochi fondamenti oggettivi, soprattutto se proiettata nel quadro globale e confrontata con quelle degli altri Paesi europei.
Prendiamo ad esempio la questione delle rapine (“reato predatorio”, la sua peculiarità è che nell’esecuzione vi è l’uso della violenza, che può essere di natura fisica o verbale con ricorso alla minaccia) e proviamo a vedere qual è la situazione dell'Italia in confronto agli altri Paesi della Comunità europea. I dati Istat indicano con chiarezza come, dopo una fase di crescita continua dal 1985 in poi, il numero di rapine denunciate abbia avuto un andamento altalenante con la forbice che si è mantenuta fra le 50 e le 85 denunce ogni 100mila abitanti. Dopo una notevole flessione dal 2008 al 2010, dal 2011 si registra un leggero aumento, ma nel 2012 il dato è ancora “sotto controllo”, con 81 rapine ogni 100k abitanti. E, sorpresa, confrontando i dati a livello europeo siamo praticamente a metà classifica. Certo, c'è la questione dei reati non denunciati: ma come tenerne conto se non con stime sommarie?
Discorso simile e tremendamente significativo per quel che concerne i furti, proprio perché si tratta della tipologia di delitto più comune (costituisce, infatti, nell’anno considerato, il 53,9 per cento del totale dei delitti). In questo caso, infatti, ci sono chiari segnali di un aumento negli ultimi anni (ad esempio, nel 2012 “i furti denunciati hanno superato del 4,1 per cento quelli dell’anno precedente”, tendenza confermata all’inizio del 2014), soprattutto per quel che concerne gli scippi (+13,3% tra il 2012 e il 2013) ed i furti negli appartamenti (15% nello stesso periodo). Ma cosa succede se allarghiamo lo sguardo a livello europeo? Ecco: