Non può essere una semplice casualità l’aumento esponenziale di commenti e retroscena circa una imminente crisi di governo in contemporanea con la definitiva bocciatura della legge di bilancio da parte della Commissione Europea. E certo non è una casualità che l’emendamento sul peculato nel ddl anticorruzione sia passato, mettendo in stand by un "pacchetto" spinosissimo e potenzialmente molto divisivo (in cui rientra anche il conflitto di interessi). Tutto parte dai problemi strutturali dell’alleanza fra Lega e Movimento 5 Stelle: due forze politiche unite più dal rifiuto del preesistente che dalla stessa idea di Paese da realizzare, dunque costrette a trovare un compromesso con un contratto di governo tanto ampio quanto inconsistente. Due partiti guidati da personalità forti e iperattive, che hanno sostanzialmente commissariato la Presidenza del Consiglio, blindando le loro posizioni mettendo al centro dei primi mesi di governo provvedimenti legati a doppio filo alla loro “mission” (il decreto dignità, il dl sicurezza e immigrazione, il cosiddetto reddito di cittadinanza).
Da giorni, dicevamo, le voci su una crisi imminente di susseguono. E si dividono in due correnti di pensiero: chi pensa che le tensioni con la UE produrranno una vera implosione della maggioranza e chi crede che le elezioni europee faranno esplodere le contraddizioni dell’alleanza Lega – M5s. Il primo scenario è fortemente connesso alla situazione economico – finanziaria e sarà il banco di prova più importante per l’intero esecutivo, Conte, Tria, Moavero Milanesi e Savona su tutti. In una intervista a La Stampa, l’ex ministro dell’Economia Padoan ha riassunto le opzioni in caso di scenario zero: “Se ci fosse uno choc finanziario forte, in altre parole un Cigno nero fabbricato in casa e se il governo non ce la facesse, ci sono tre soluzioni, almeno in teoria: una nuova maggioranza, magari modello grossa coalizione; elezioni anticipate; un governo tecnico, che ripeterebbe il quadro del 2011”. La rottura definitiva con la UE, con l'avvio di una spirale che ci condurrebbe fuori dai mercati, in crisi di liquidità e a un passo dall'uscita dalla moneta unica è lo scenario zero, che rimescolerebbe il quadro complessivo e potrebbe produrre esiti non del tutto scontati. Al momento, per fortuna, si tratta di semplici speculazioni e non sarebbe corretto ipotizzare né un "golpe della finanza", né un ribaltone in seno alla maggioranza che avrebbe del clamoroso, né "tradimenti" di una delle due forze che compongono la maggioranza. Tra l'altro, il governo pare intenzionato a chiedere una "proroga" temporale alla UE, con la promessa di una manovra correttiva. Ipotesi molto interessante, che mal si concilierebbe con una crisi di governo.
Il Governo Salvini I, si può fare?
Dunque, conviene concentrarsi sull’altro scenario, quello che presuppone una rottura del patto di governo da parte di Matteo Salvini, con l’obiettivo di mettere fine all’alleanza coi 5 Stelle e alla reggenza a Chigi di Giuseppe Conte. È il progetto “governo Salvini I”, rilanciato da autorevoli analisti e da politici di lungo corso. Le strade possibili sono essenzialmente due: ribaltone parlamentare o elezioni anticipate. La data soltanto una: autunno 2019. La miccia sempre una: le elezioni europee.
La prima opzione presuppone una rottura dell’alleanza di governo, che si giudica inevitabile, considerate le distanze fra programmi e obiettivi, in qualche modo già emerse in questi primi mesi di legislatura. L’incidente già è stato sfiorato su inceneritori, decreto sicurezza, delega fiscale e ddl anticorruzione, ma i tempi non potevano essere maturi per andare fino in fondo, né per i 5 Stelle né per i leghisti. È improbabile che la bomba esploda prima delle Europee, considerando che nessuno dei due partiti si assumerebbe il rischio di presentarsi alle urne con la responsabilità di aver causato il ribaltone. Con un contratto di governo così lacunoso e tenendo conto della smania “comunicativa” dei dirigenti grillini e leghisti, però, non è difficile ipotizzare che nei prossimi mesi possa sorgere un pretesto qualunque per aprire un fronte di guerra. Soprattutto se i sondaggi recenti saranno confermati alle Europee e Salvini si ritrovasse oltre il 30%, anche grazie ai voti sottratti al Movimento.
A quel punto, però, cosa accadrebbe? In molti, anche autorevoli esponenti di FI, danno per scontato che si andrà verso un nuovo governo: Lega, Forza Italia, Fdi + responsabili e transfughi. Ma forse sarebbe opportuno fare i conti prima con i numeri in Parlamento. Alla Camera dei deputati (dove la soglia di sicurezza è di almeno 320 / 330 seggi), la Lega ha 125 deputati, Forza Italia ne ha 104, Fratelli d’Italia ne ha 32. Il totale è di 261 deputati. Ne mancherebbero più di una sessantina, insomma. La quota di sicurezza sarebbe lontanissima, anche ammettendo il sostegno a un governo Salvini di tutti i parlamentari del Misto (22). Difficile, per non dire impossibile, ipotizzare poi che oltre 40 parlamentari del PD decidano di appoggiare un esecutivo guidato proprio dal leader leghista (diverso sarebbe il discorso con Giorgetti, ma dubitiamo fortemente che il leader leghista armi un casino del genere per far salire a Chigi un’altra persona); allo stesso modo, sembra complesso pensare a una fronda interna ai 5 Stelle così ampia. Al Senato la situazione è simile, se non peggiore (considerando che neanche una eventuale astensione del PD sarebbe utile nelle dinamiche d'Aula). Insomma, la domanda è sempre quella di 8 mesi fa: dove sono i numeri per un governo del centrodestra?
L’altra opzione prevede crisi di governo e nuove elezioni, che il centrodestra “unito” dovrebbe vincere agilmente, conquistando la maggioranza dei seggi nei due rami del Parlamento e facendo così nascere il Salvini I. A parere di chi scrive, però, anche questa lettura è abbastanza semplicistica, perché non tiene conto di una serie di condizioni storiche. La prima riguarda la “ritrosia” (per usare un eufemismo) dei parlamentari nell’abbandonare il proprio scranno prima della fine della legislatura (anche quando le condizioni esterne suggerirebbero di andare a elezioni anticipate, chiedere a Bersani e Renzi…). La seconda è la facilità con cui gli italiani “bruciano” i leader politici, questione che dovrebbe indurre Salvini a maggior prudenza. La terza è legata al tempo necessario per completare lo “svuotamento” di Forza Italia, operazione in pieno corso e molto importante per i dirigenti leghisti sui territori. La quarta, e più importante, è la saldatura fra gli elettorati grillino e leghista. In questi mesi sono tanti gli italiani “conquistati” alla causa giallo-blu, ma soprattutto si è determinata una convergenza fra i due elettorati, che rende molto complicato pensare a mosse azzardate che non abbiano immediate ripercussioni in termini di consenso. Le forze politiche non potrebbero essere così diverse, gli elettorati stanno diventando molto simili. Salvini è politico accorto e sa che tradire la "causa" potrebbe essere un problema, soprattutto perché trascinerebbe la Lega in una sanguinosa battaglia comunicativa coi 5 Stelle.
Insomma, forse non è ancora il momento per Salvini di andare all in.