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Opinioni

Ma davvero ora Renzi deve avere paura del ballottaggio?

Dal turno di ballottaggio supplementare un “campanello di allarme” a Matteo Renzi? Non proprio, perché i veri “segnali” alla politica arrivano, di nuovo, dall’astensionismo. E soprattutto perché confondere un ballottaggio locale con un referendum sulla persona ha davvero poco senso…
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Il risultato del turno di ballottaggio delle elezioni comunali 2015 ha inevitabilmente riaperto il dibattito sul consenso di cui gode il Governo Renzi tra i cittadini. Diversamente da quanto avvenuto dopo il 5 a 2 delle elezioni regionali, l’attenzione si è concentrata sul “valore” del turno di ballottaggio, considerando che la nuova legge elettorale per le elezioni politiche prevede tale opzione nel caso in cui nessuna lista raggiunga al primo turno il 40% dei consensi. Senza girarci troppo intorno, la domanda è chiara: Matteo Renzi sta davvero cominciando a temere un eventuale ballottaggio con Matteo Salvini o (ad esempio) Luigi Di Maio?

La questione è ovviamente assai complessa e, al momento, decisamente prematura. Ma il ragionamento intorno alle incognite del turno di ballottaggio è già al centro delle riflessioni interne ai partiti ed è all'attenzione di diversi analisti politici, con letture prospettiche più o meno realistiche. Basarsi su un test così marginale può indurre ad errori di valutazione e ad esagerazioni, ma appare interessante provare ad inserire i risultati di Venezia, Matera, Arezzo, Gela, Enna (e anche Mantova, dove il centrosinistra ha vinto) in una casistica più ampia che include anche i risultati (datati) di Livorno, Ragusa, Napoli, Parma. In sostanza, cosa accade quando la scelta “secca” è fra chi ha in mano il potere e un avversario “alternativo” che offre una netta discontinuità con il modello precedente? Cosa cambia nei flussi di consenso quando si polarizza lo scontro in un determinato modo? Quale fetta di elettorato decide di restare a casa al secondo turno? È sempre penalizzata la forza di Governo? Quanto valgono le alleanze successive al primo turno? Che tipo di campagna elettorale bisogna impostare quando si sa già di doversi giocare tutto al ballottaggio?

Intorno a tali questioni si gioca una partita importante, soprattutto tra Palazzo Chigi e il Nazareno. Renzi, pur dovendo fare i conti con i flop clamorosi delle sue candidate, aveva mostrato soddisfazione per il risultato delle Regionali e aveva sperato che dal turno di ballottaggio non arrivassero clamorose sorprese. Da Venezia e Arezzo arriva invece un segnale piuttosto chiaro: l’onda lunga post Europee è finita, non basta la sua esposizione personale per blindare il risultato, le mille contraddizioni del partito (in due casi completamente diversi, tra l’altro) alla fine si scontano sempre, la radicalizzazione dello scontro (Governo vs opposizioni tutte) non paga, anzi convince gli elettori delle opposizioni a fare cartello nei momenti decisivi. Il pensiero va inevitabilmente a ciò che accadeva con Silvio Berlusconi.

Per anni si è detto che l’antiberlusconismo (di maniera, più che di sostanza) è stato l’unico collante in grado di tenere insieme il centrosinistra e di convincere elettori sfiduciati e avviliti a sostenere unioni, coalizioni e alleanza senza capo né coda). E il parallelo con quanto sta accadendo adesso parrebbe essere scontato, chiarissimo. Ma, a ben vedere, l'antirenzismo è allo stato embrionale, anche perché il progetto "renziano" non è ancora chiarissimo (quanto a riferimenti culturali, orizzonte programmatico, futuro del partito eccetera). E soprattutto il bipolarismo è saltato, non c'è un'unica forza in grado di incanalare il voto di protesta e il quadro interno ai partiti tradizionali è in piena evoluzione, quanto a piattaforma programmatica, orizzonte politico, formazione / ricambio della classe dirigente.

In casa democratica, del resto, si è abbastanza tranquilli su un aspetto chiave: al momento (ripetiamo, al momento) il Presidente del Consiglio non ha un avversario in grado di impensierirlo. Non lo è Salvini, che pure gode di un enorme consenso personale, per limiti oggettivi nella capacità di parlare ad un elettorato "altro" (anche se sulle trasformazioni del bacino elettorale moderato bisognerebbe riflettere…) e per le difficoltà che incontrerà nello scalare il centrodestra (non inganni il particolare momento, il Cavaliere non si accomoderà gentilmente alla porta senza "garanzie"). Non lo è il Movimento 5 Stelle, che appunto deve ancora sciogliere l'enigma del "candidato" e risolvere una serie di contraddizioni interne (siamo sempre lì: la marginalizzazione della proposta politica, l'integralismo "ideologico", la formazione della classe dirigente, l'adeguamento della piattaforma programmatica, la necessità di recidere il legame con una azienda privata che ha la necessità di "fatturare" e via discorrendo). (Ripetiamo, questioni complesse che abbiamo provato a sviluppare meglio qui, qui, qui e qui)

Insomma, per una serie di ragioni (qui semplicemente accennate, eh) sembra piuttosto azzardato paragonare i ballottaggi locali ad un eventuale ballottaggio nazionale. Ed è al limite della fantascienza pensare a modifiche all'Italicum per qualche rovescio alle comunali.

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A Fanpage.it fin dagli inizi, sono condirettore e caporedattore dell'area politica. Attualmente nella redazione napoletana del giornale. Racconto storie, discuto di cose noiose e scrivo di politica e comunicazione. Senza pregiudizi.
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