Luigi Lusi eseguiva solo gli ordini. Come se si trattasse di un sottoposto dell'esercito cui non è dato decidere o obiettare (e anche in quel caso ci sarebbe da discutere). Come se non stessimo parlando dell'appropriazione di decine di milioni di euro e dell'utilizzo sconsiderato, a voler essere buoni, del denaro dei partiti, in gran parte direttamente riconducibile al finanziamento pubblico. Come se il garantismo possa essere confuso con l'impunità, cosa ben diversa, cosa sostanzialmente diversa. Lusi resta innocente fino a prova contraria, ma è oltremodo ridicola l'idea che il senatore, che ha più o meno apertamente confessato di aver speso, donato, investito soldi sottratti alle casse della Margherita, possa essere perseguitato dai giudici e dunque debba essere "salvato" dalla carcerazione preventiva richiesta dai pm.
Ma tant'è, visto che come ricorda qualcuno, il "voto segreto" è una garanzia e in attesa di capire come si esprimerà l'assemblea è opportuno fare qualche considerazione. Perché è abbastanza surreale parlare di deriva forcaiola o di condizionamenti "popolari" sul voto dei senatori. Qui non si tratta di trovare un capro espiatorio, un agnello sacrificale da mandare in pasto al "popolino affamato". E' una questione di dignità istituzionale. Si tratta di accogliere la richiesta degli inquirenti perché non ci sono i presupposti per avvalersi delle prerogative parlamentari (sulle quali magari sarà opportuno tornare a riflettere…). Di attendere senza preconcetti che la giustizia faccia il suo corso, senza quelle strumentalizzazioni e quei pregiudizi che hanno avvelenato il rapporto politica – magistratura negli ultimi venti anni. E il garantismo non c'entra nulla, come non c'entrava per Cosentino, De Gregorio e via discorrendo. Cominciare ad ammetterlo è solo un passo.