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M5S, il (vis)Conte dimezzato

Il leader del Movimento 5 Stelle Giuseppe Conte ha condotto una dura battaglia contro il possibile aumento delle spese militari. Ma le mosse dell’ex premier rivelano la sua debolezza e inaffidabilità. L’opinione del senatore Gregorio De Falco.
A cura di Redazione
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di Gregorio De Falco – senatore gruppo Misto

Nel 2014 i trenta Paesi aderenti alla NATO hanno siglato un accordo, non obbligatorio, per portare al 2% del PIL le spese militari, entro dieci anni.  Nel 2018 e nel 2019 i governi presieduti da Giuseppe Conte hanno confermato l'impegno assunto dall'Italia, sia al summit NATO dell'11 luglio 2018, che nella successiva "London Declaration", del 4 dicembre 2019.

È chiaro che proprio Conte avrebbe fatto meglio a conservare un minimo di coerenza su un tema, peraltro attualmente così sensibile. Infatti, pochi giorni fa, proprio in conseguenza dell'invasione russa dell'Ucraina, dapprima la Germania, poi anche molti altri Paesi europei, tra cui l'Italia, hanno confermato la volontà di rispettare quegli impegni.

Ad oggi la spesa militare italiana è pari all'1,4% del PIL e quindi per raggiungere la soglia convenuta, essa dovrebbe essere incrementata dello 0.6%, lo 0.2% ogni anno dal 2022 al 2024; mentre la spesa media dei Paesi europei è già pari al'1.5% del PIL, quindi superiore alla nostra, che riesce a garantire allo stato, poco più che gli stipendi e le manutenzioni.

La mancanza di una difesa comune europea e corrispondentemente l'assenza di una politica comune, ha prodotto quella frammentazione diplomatica che si è ben vista e che a propria volta ha posto in evidenza la debolezza miliare e politica dei Paesi europei. Una politica di difesa comune, inoltre, sarebbe auspicabile poiché consentirebbe di rendere gli Stati europei militarmente e politicamente più integrati e al tempo stesso più autonomi rispetto alla politica estera e di difesa statunitense.

Per alcuni giorni il prof. Giuseppe Conte, mentre era impegnato nella sua solitaria campagna elettorale, volta anche a catturare il consenso "pacifista" tradizionalmente di sinistra, ha affermato che il governo Draghi avrebbe dovuto destinare quelle risorse alla sanità ed al contrasto dell'aumento delle bollette energetiche e lo accusava di spingere il partito di maggioranza relativa all'opposizione.

Ma, dopo un'ora di colloquio con Draghi, Conte ha mutato ancora una volta orientamento e in televisione ha dichiarato che il problema politico non era la destinazione delle risorse alle spese militari, ma i tempi nei quali si sarebbero dovuti onorare gli impegni presi e non più discussi, svelando così  che la sua originaria presa di posizione aveva a che vedere più con una speculazione politica personale che non con l'interesse dei cittadini .

D'altra parte, era ben chiaro che la maggioranza sarebbe rimasta in piedi comunque, grazie al sostegno di deputati e senatori del Movimento fedeli a Luigi Di Maio. In 48 ore, così, i toni minacciosi di Conte sono rientrati, come pure le sue velleità di esercitare una leadership effettiva sui gruppi parlamentari 5 Stelle, a causa del peso che esercita su di essi Di Maio.

Conte ha, infatti, il problema Di Maio ed esso si pone come questione sia interna, rispetto al Movimento ed ai gruppi parlamentari, che esterna rispetto alla credibilità della sua leadership ed alla instabilità delle sue posizioni nei confronti del PD. Instabilità che incide in definitiva, sulla complessiva credibilità del Paese.

Il Segretario del Pd, Letta, d'altra parte, non potrà arrivare al momento delle elezioni senza aver stretto accordi politici con formazioni di rilievo, convintamente atlantiste ed europeiste e, quindi, non può tollerare i "giri di valzer" di Conte, leader politicamente inattendibile, poiché oscilla tra le opportunità del momento senza tenersi ad una coerenza, e che è appena stato confermato leader da una minoranza degli iscritti pari a circa il 38% e che non controlla i Gruppi parlamentari divisi tra lui e Di Maio.

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