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Luigi Di Maio era già socio dell’azienda di famiglia durante la causa per lavoro in nero

Il vicepresidente del Consiglio, Luigi Di Maio, era già socio dell’azienda di famiglia nel 2014, quando era in corso la causa del dipendente dell’azienda di famiglia alla stessa società per regolarizzare la sua posizione a seguito del lavoro svolto in nero. Il procedimento si è concluso, in primo grado, nel 2016: ora si attende l’Appello.
A cura di Stefano Rizzuti
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Il contenzioso tra un dipendente dell’azienda del padre di Luigi Di Maio, Antonio, e l’azienda stessa era ancora in corso anche quando il vicepresidente del Consiglio era socio della stessa società. A spiegarlo è Il Corriere della Sera, evidenziando come un dipendente della Ardima Costruzioni di Antonio Di Maio e Paolina Esposito, genitori del capo politico del M5s, abbia fatto causa all’azienda per farsi riconoscere le ore lavorate in nero. Il dipendente ha perso la causa in primo grado, ma ha fatto ricorso in Appello. A quel punto papà Di Maio avrebbe proposto una mediazione per chiudere il contenzioso, ricevendo però il rifiuto da parte del dipendente che ha deciso di andare in Appello. Per avere una sentenza si dovrà comunque attendere il 2020.

Il contenzioso era ancora in corso nel 2014, quando la società è stata donata alla Ardima srl, i cui proprietari sono Luigi Di Maio e sua sorella Rosalba, mentre il fratello Giuseppe ne è l’amministratore. L’azienda, ha spiegato ieri sera Di Maio ospite di La 7 a Di Martedì, è pronta a chiudere non avendo ormai più dipendenti. Il vicepresidente del Consiglio ha ribadito di non saper nulla dei lavoratori in nero nell’azienda gestita dal padre, ma solo oggi si è scoperto che in realtà era socio quando il contenzioso era ancora in corso. Resta quindi da capire se Di Maio sapesse o meno. A verificare la regolarità dei contratti lavorativi (si parla, dopo i servizi delle Iene, di 4 lavoratori in nero) sarà l’ispettorato del Lavoro, che dipende proprio dal ministero guidato da Di Maio.

La denuncia del dipendente e il processo

La vicenda di Domenico Sposito è iniziata nel 2008: il dipendente ha lavorato per l'azienda dei Di Maio fino al 2011. La vicenda processuale ha inizio, invece, nel 2013 e ha avuto un primo riscontro giuridico nel 2016, cioè quando Di Maio aveva quote della Ardima srl ed era vicepresidente della Camera. Sposito sostiene di aver lavorato quotidianamente quattro ore con contratto regolare e quattro ore in nero. Per questo ha chiesto la sua regolarizzazione. Durante l’interrogatorio sul procedimento, il padre di Di Maio avrebbe detto, secondo quanto riporta il Corriere: “Preferiva ricevere un acconto a prodotto delle giornate effettivamente lavorate per 75 euro al giorno entro la prima decade, poi quando il consulente del lavoro ci portava la busta paga aveva il saldo. A lui veniva pagato tutto l’importo della busta paga più una somma in contanti pari alle giornate lavorate per 37 euro al giorno e ciò accadeva per esigenze personali e lavorative”. Ma alcuni testimoni non avrebbero confermato questa versione. Nonostante questo, in primo grado Sposito ha perso, decidendo comunque di ricorrere all’Appello.

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