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L’Ue blocca i fondi per 1 miliardo di euro all’Ungheria di Orban: “Viola lo stato di diritto”

La Commissione Europea congela 1 miliardo di euro destinati all’Ungheria, accusando il governo Orbán di violare lo Stato di diritto. Una crisi economica e istituzionale che mette a rischio il futuro delle relazioni con l’UE.
A cura di Francesca Moriero
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A mezzanotte del 31 dicembre, Bruxelles ha sancito ufficialmente la perdita definitiva della prima tranche dei fondi di coesione destinati all’Ungheria: 1,04 miliardi di euro. Questo taglio fa parte di un pacchetto più ampio di 19 miliardi, congelati dal 2022. Il motivo: le gravi violazioni dello Stato di diritto imputate al governo di Viktor Orbán.

La decisione non è stata presa all’improvviso: due anni fa è stato attivato un meccanismo di condizionalità, che ha avuto la funzione di avvertire Budapest. Un sistema che collega i fondi dell’Unione Europea al rispetto di determinate regole democratiche e principi di stato di diritto. L’attivazione di questo meccanismo ha rappresentato una sorta di monito per l’Ungheria, che non ha però portato ai cambiamenti richiesti. Il governo ungherese ha infatti continuato a ignorare le richieste di modifiche.

Le critiche principali riguardano vari aspetti del governo di Orbán, tra cui la scarsa trasparenza nella gestione dei fondi pubblici, la presenza di conflitti di interesse e le pressioni politiche che minano l’indipendenza della magistratura e dei media. La Commissione Europea aveva già richiesto delle riforme precise per garantire che il sistema giudiziario fosse al riparo da influenze politiche, ma le modifiche proposte dal governo ungherese sono state considerate insufficienti.

Ilaria Salis simbolo del deterioramento giudiziario

In questo contesto, uno dei casi più noti, almeno per l'Italia, è stato quello di Ilaria Salis, oggi europarlamentare, che ha vissuto sulla propria pelle le conseguenze della fragilità dello Stato di diritto in Ungheria. La sua esperienza ha attirato l’attenzione internazionale, e ha evidenziato il clima di intimidazione e le difficoltà di chi tenta di opporsi al governo di Orbán.

Arrestata e trattenuta in custodia cautelare in carcere a Budapest, Salis ha denunciato le gravi violazioni dei suoi diritti fondamentali, compresi lunghi periodi di detenzione preventiva e un processo che, anche secondo i giudici italiani, era viziato da forti pressioni politiche.

In una lettera scritta al suo legale, Eugenio Losco, Salis raccontava il sovraffollamento, i trasferimenti in catene, l’ora d’aria al giorno che non sempre era garantita, celle infestate da insetti e "una dotazione mensile di 100 milligrammi di sapone, quattro pacchi di carta igienica e un ciuffo di cotone per il ciclo mestruale".

Il caso di Salis ha sollevato domande sul funzionamento della giustizia ungherese, spesso accusata di essere controllata dal governo di Orbán e di servire più interessi politici che l’equità e l’indipendenza richieste dagli standard europei. La vicenda ha portato alla ribalta le problematiche sistemiche del sistema giudiziario ungherese, attirando l’attenzione delle istituzioni europee e contribuendo a rafforzare la posizione di Bruxelles con Budapest.

La situazione nelle carceri ungheresi

Nel mese di dicembre 2023, l’Hungarian Helsinki Committee (HHC), una Organizzazione non governativa impegnata nella difesa dei diritti umani, con sede a Budapest, ha reso pubblico un rapporto che evidenziava la situazione allarmante delle carceri ungheresi: a ottobre 2023, il numero di detenuti aveva superato le capacità strutturali, con 18.407 persone reclusi a fronte di una capacità massima di 17.998, raggiungendo un tasso di occupazione del 102%. A Budapest, la capitale, la situazione sembrava essere ancora più drammatica, con il tasso di occupazione che variava dal 104% al 107%. Il sovraffollamento carcerario è un problema di lunga data, simile a quello che affligge anche l’Italia, dove, in base alle informazioni fornite dal Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria (Dap) e analizzate dal Garante nazionale per le persone private della libertà, relative alla situazione al 30 novembre 2024, il numero complessivo dei detenuti è salito a 62.464, con un tasso di sovraffollamento pari al 133%, calcolato sui posti effettivamente disponibili.

Un rapporto del 2018 del Consiglio d’Europa, la principale organizzazione che monitora i diritti umani in Ue, ha documentato casi di abusi da parte delle forze di polizia ungheresi: i racconti, documentati nel rapporto, parlano di pestaggi brutali, spesso compiuti in assenza di testimoni e lontano dalle telecamere di sorveglianza.

Le condizioni igieniche sembrano essere poi un altro dramma nelle carceri ungheresi: secondo il rapporto di HHC, in almeno 20 carceri, ci sarebbero infestazioni da cimici dei letti. Anche Salis, nelle sue lettere dal carcere, parlava del tormento causato dalle cimici, dagli scarafaggi e dai topi.

Le difficoltà non si fermano qui: sarebbero scarsi gli impianti di riscaldamento funzionanti e sarebbe proprio assente l'acqua calda. La legge ungherese impone che nelle strutture pubbliche la temperatura non superi i 18 gradi, ma nelle carceri ungheresi spesso è ben al di sotto di questa soglia. Nonostante le ripetute richieste da parte dell’Unione Europea e di altre organizzazioni internazionali di migliorare le condizioni carcerarie e il sistema giudiziario, gran parte delle sollecitazioni sembrano oggi ancora senza risposta da parte delle autorità ungheresi.

Promesse infrante e perdita di risorse

Per tutto il 2023, Orbán ha cercato di rassicurare i partner europei con promesse di riforme. Tuttavia, le misure annunciate, come una revisione del sistema giudiziario, si sono rivelate troppo vaghe o incomplete per soddisfare Bruxelles. Orbán aveva garantito che il suo governo avrebbe adottato misure per prevenire abusi e tutelare l’indipendenza delle istituzioni, ma il rapporto annuale della Commissione sullo Stato di diritto ha evidenziato che molti problemi restano irrisolti.

Nonostante la gravità della situazione, la stampa ungherese ha trattato con discrezione la notizia del taglio dei fondi. I media vicini al governo sembrano aver concentrato l’attenzione su altri temi, come il conflitto in Ucraina o presunti successi interni.

Questo silenzio sembra essere una strategia: evitare che l’opinione pubblica percepisca la decisione europea come un fallimento politico del governo.

La perdita di questi fondi potrebbe infatti rappresentare un duro colpo per l’economia ungherese, che dipende in larga parte dalle risorse europee per finanziare progetti infrastrutturali e di sviluppo regionale. Con la presidenza del Consiglio UE, ora nelle mani della Polonia, il margine di manovra di Orbán si restringe ulteriormente, poiché il suo governo rischia di perdere ulteriori risorse se non apporterà cambiamenti sostanziali.

Un bivio per l’Europa

Questa vicenda sembra essere più di una semplice disputa economica. Per l’Unione Europea, potrebbe rappresentare una prova della sua capacità di difendere i principi fondanti che la rendono un’unione di valori, oltre che di interessi. La posta in gioco sembra insomma essere alta: cedere su questi temi potrebbe compromettere la credibilità dell’Unione, mentre un approccio troppo rigido rischia di spingere l’Ungheria verso un isolamento ancora maggiore. Dall’altro lato, per Orbán, la questione sembra non riguardare solo i fondi, ma la sopravvivenza stessa del suo modello politico, spesso definito “democrazia illiberale”.

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