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Elezioni europee 2024

Luca Boccoli (Avs): “Mi batto per un’Europa federalista, che realizzi il sogno di Altiero Spinelli”

Luca Boccoli, 26 anni, candidato nelle liste di Avs nella circoscrizione Centro, è tra i più giovani in corsa per il Parlamento europeo: “La mia generazione e quelle che dovranno nascere saranno le più colpite dalla crisi climatica e dalla crisi sociale. È inaccettabile che non siano rappresentate all’interno delle istituzioni”.
A cura di Annalisa Cangemi
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Luca Boccoli è il più giovane candidato nella lista di Avs, nella circoscrizione Centro: classe 1997, è stato attivista dei Fridays For Future ed è Co-portavoce Nazionale dei Giovani Europeisti Verdi (GEV). Per lui questa è la prima candidatura al Parlamento europeo.

Sei il più giovane nella lista di Avs nella tua circoscrizione, e tra i più giovani nelle liste di Avs. La senti come una responsabilità?

La questione generazionale è importante, visto che ad oggi al Parlamento europeo soltanto due eurodeputati su 705 hanno meno di trent'anni. Ma la mia generazione e quelle che dovranno nascere saranno le più colpite dalla crisi climatica e dalla crisi sociale. È inaccettabile che non siano rappresentate all'interno delle istituzioni, in quelle nazionali ma soprattutto in quelle europee, visto che viviamo in un mondo sempre più interconnesso.

Quali proposte vorresti portare avanti se venissi eletto?

Sicuramente intendo occuparmi del lavoro, dell'urgenza di introdurre un salario minimo europeo, che ci possa permettere di avere una vita dignitosa, abolendo il lavoro non retribuito, che è un problema non solo da noi ma anche in altri Paesi europei. E poi è cruciale il diritto all'abitare, una casa a prezzi accessibili, limitando gli affitti brevi e turistici. E indubbiamente porterei avanti la questione della salute mentale, con l'introduzione in modo strutturato dello psicologo di base anche nelle scuole e nelle Asl, per avere un supporto psicologico garantito gratuito. E bisogna assicurare una copertura sanitaria universale, a livello europeo. Ma per fare tutto questo – ed è il motivo per cui sono iscritto anche al Movimento Federalista Europeo – sarebbe importante innanzi tutto portare a termine quel progetto federalista che aveva immaginato Altiero Spinelli alla fine della Seconda Guerra Mondiale. Ad oggi purtroppo, non avendo la stessa politica fiscale, non potendo eleggere il presidente della Commissione, con un Parlamento europeo che non ha iniziativa legislativa, tutto questo è molto complicato. È assurdo che 70 anni dopo la visione di Altiero Spinelli non abbiamo ancora messo in pratica quel progetto, quello di un'Europa dei popoli e non delle nazioni.

Quali dovrebbero essere i primi step?

Il primo passo è approvare una Costituzione europea e modificare i trattati. Il futuro dell'Europa passa da lì, non possiamo continuare a rimanere in questa situazione ibrida: è il momento di concludere il processo di integrazione con la politica fiscale, con l'elezione diretta del presidente della Commissione, togliendo l'unanimità al Consiglio e pesando a livello internazionale come unica forza. Come possiamo pensare di essere portatori di pace se ogni primo ministro dei paesi membri parla a titolo personale, ma si presenta come portavoce di tutta l'Europa? È accaduto per esempio qualche giorno fa a Macron, che ha rilasciato un'intervista in cui dichiarava di voler inviare truppe europee in Ucraina. Il giorno dopo è stato smentito dall'Alto Rappresentante dell'Unione Europea per la Politica Estera, Josep Borrell. Solo con un'Europa federalista parleremmo davvero con una voce unica.

In questo disegno rientra anche l'esercito comune europeo, con funzioni di deterrenza.

Assolutamente sì.

A proposito di salute mentale, sei a favore del bonus psicologo?

No sono contrario, perché è il solito bonus che dà soldi a pioggia, ma che non risolve il problema a monte, e cioè che abbiamo un Servizio sanitario al collasso. Con il bonus psicologo non si incentiva un miglioramento nell'offerta dei servizi nel pubblico, si incentiva solo il privato. Ma in che direzione vogliamo andare? Noi vogliamo rafforzare il pubblico, vogliamo un'Europa inclusiva che sia dalla parte delle persone comuni, non vogliamo un'Europa liberista, dalla parte dei privati e delle multinazionali. Per esempio l'ultima Pac che è stata approvata nel 2021, e che terminerà nel 2027, dà l'80% degli investimenti diretti al 20% delle aziende agricole della Grande distribuzione.

Il problema della transizione energetica è strettamente connessa alla giustizia sociale…

Noi abbiamo un problema scientifico, la politica deve intervenire per capire in che modo affrontarlo. Il 10% delle persone più ricche in Europa inquinano quanto la metà più povera. Esiste in Europa il principio del ‘chi inquina paga', ma non viene rispettato. Tante volte le aziende inquinano, l'Ue mette delle tasse più stringenti legate alle questioni ambientali, ad esempio sulle emissioni di CO2, e poi però le aziende scaricano i costi aggiuntivi e li riversano sul consumatore. Perché i costi di questa transizione devono ricadere sulle persone più fragili? A pagare dovrebbero essere i grandi inquinatori.

In che modo?

È chiaro che in questa Europa non ancora integrata dal punto di vista fiscale è difficile parlare di tassazione dei super ricchi a livello europeo. Non è fattibile. Però in futuro l'idea dovrebbe essere quella di tassare i ricchi in maniera più consistente. Ma una politica fiscale unitaria è fondamentale anche per evitare un dumping sociale.

Tra le questioni più urgenti da affrontare c'è quella dei flussi migratori. L'approvazione del nuovo Patto migrazione e asilo dà risposte adeguate?

No, continua a sottolineare con forza due concetti vergognosi: l'esternalizzazione delle frontiere e l'equiparazione tra la detenzione amministrativa, che in Italia significa Cpr, e l'accoglienza. Noi stiamo dando centinaia di milioni di euro a Paesi come la Libia e la Tunisia per trattenere le persone. In Italia non solo si ostacolano le operazioni di ricerca e soccorso in mare, ma si ostacolano anche tutti i processi di accoglienza e inclusione sociale che dovrebbero essere supportati, mentre i soldi vengono messi nella costruzioni di nuovi centri di permanenza e rimpatrio, che sono veri e propri lager. E questo approccio è stato sostenuto purtroppo anche dall'Ue, da Ursula von der Leyen. Serve subito la riforma del trattato di Dublino, aumentare i canali regolari di ingresso per le persone che arrivano dall'Africa e dal Medio Oriente, e finanziare le operazioni di ricerca e soccorso in mare, che non possono essere affidate solo a gruppi di volontari.

In questo contesto geopolitico instabile, è arrivata la proposta della Lega di tornare alla leva obbligatoria. Come la interpreti e che ripercussioni può avere?

La Lega vuole farci tornare indietro nel tempo, vuole normalizzare il concetto di guerra, di militarismo. Significa riarmare i Paesi e metterci gli uni contro gli altri. Salvini strizza l'occhio all'industria delle armi che vuole alimentare le guerre nel mondo, perché grazie a quelle fanno profitti miliardari.

Ieri Ilaria Salis è comparsa di nuovo in aula a Budapest, per la prima volta senza catene a piedi e mani. Ma il giudice monocratico Josef Szos, nell'aprire formalmente l'udienza, ha rivelato il domicilio della 39enne insegnante milanese. Che rischi corre?

È vergognoso quanto accaduto ieri in tribunale, potrebbero esserci atti vandalici o violenti contro di lei e contro i suoi familiari. La sua candidatura è stata una scelta radicale, di pannelliana memoria, perché dietro il nome di Ilaria Salis c'è oggi una battaglia di un'intera comunità, che lotta per il rispetto dei diritti umani. Perché è inaccettabile che un Paese membro dell'Ue si permetta di legare con catene un detenuto in attesa di giudizio. È una battaglia di civiltà. Mi dispiace che venga politicizzata, a me non interessa se Ilaria Salis è anarchica, di destra o comunista, mi interessa il rispetto dei diritti umani, per i quali dovrebbe battersi tutto l'arco parlamentare.

Pensi che il fatto che sia finalmente ai domiciliari, dallo scorso giovedì, sia un effetto dell'attenzione mediatica, agevolata anche dalla sua candidatura alle elezioni europee?

Sì, assolutamente. Mi auguro che Giorgia Meloni, così come ha accolto all'aeroporto Chico Forti, faccia lo stesso anche con Ilaria Salis. Ma credo che non accadrà.

Abbiamo pubblicato un sondaggio realizzato da Piave Digital Agency per Fanpage.it, dal quale è emerso un dato sull'affluenza preoccupante: andrebbe a votare solo il 51% degli elettori. Come si convincono i cittadini a votare? Vuoi fare un appello?

Capisco che le persone sentano l'Ue distante. Ma se non vogliamo tornare indietro di decenni, in una condizione in cui i Paesi europei si facevano la guerra fra loro, votare per il Parlamento europeo è fondamentale. Perché l'Europa, anche se imperfetta, è un sistema che ci tocca in prima persona. Basti pensare al Pnrr, tutti i soldi che ci sono arrivati sono fondi Ue. Europa significa libertà di movimento, se noi giovani abbiamo la possibilità di andare a studiare in Olanda o in Francia, senza pagare nulla, e possiamo vivere in un qualsiasi Paese membro senza chiedere il permesso di soggiorno, lo dobbiamo a questa Ue. Quindi votare l'8 e 9 giugno significa far sentire la nostra voce su tematiche fondamentali. Da soli come Stati non andiamo da nessuna parte. Abbiamo la crisi climatica che morde, la crisi sociale, la disoccupazione giovanile. Se non vogliamo vedere un mondo che va in pezzi, fatto di muri e barriere, andiamo a votare. La crisi climatica, che è quella più urgente da risolvere e che va affrontata subito, non può essere affrontata solo a livello nazionale.

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