Sembrano passati anni da quando il gruppo del Partito Democratico nella Commissione Trasporti e Telecomunicazioni alla Camera avanzava una risoluzione con la quale si chiedeva al Governo di impegnarsi per la "promozione di un confronto pubblico e trasparente con il Parlamento con la presentazione dei curricula dei candidati alle Autorità di regolazione e controllo". I vari Gentiloni, Lovelli, Boffa, Cardinale, Gasbarra, Martino, Merlo, Velo, Zampa, Laratta erano determinati a "favorire la scelta di personalità molto competenti in tutti i settori di intervento delle medesime Autorità, e non soltanto in campo giuridico-amministrativo, garantendone l’effettiva indipendenza, con rigorose incompatibilità sia in relazione alla politica ma anche alle grandi forze economiche del settore, evitando, quindi, situazioni di conflitto di interesse legati a incarichi ricoperti nella magistratura amministrativa – competente a giudicare sui ricorsi contro le decisioni delle Autorità – o nelle imprese – ora regolate e vigilate – e in politica".
Peccato che in realtà si trattasse solo dello scorso aprile e come sono andate a finire le cose è cosa nota. Quello andato in scena oggi sulle nomine AGCOM e Privacy è stato infatti il solito spettacolo all'italiana, il solito teatrino preceduto da un gioco di rimandi, responsabilità senza volto, veti incrociati e polemiche strumentali. La solita confusione organizzata dalla quale si è usciti nell'unico modo che questi partiti conoscono per gestire tali situazioni: lottizzazione, spartizione degli incarichi, compromessi a discapito di qualunque logica. E della soglia minima di decenza. Perché non si tratta nemmeno di una valutazione nello specifico dei nomi, per quanto sinceramente alcune scelte lasciano "perplessi" (per usare un eufemismo). Si tratta della riproposizione di un metodo, dell'eterno ritorno della Prima Repubblica nei comportamenti, nelle scelte e nelle decisioni. In spregio ai timori sulla riproposizione del conflitto di interessi, in barba ad ogni discorso sulle specifiche competenze, senza pensare né al merito né al cumulo di incarichi: insomma, una pagina grigia, l'ennesima visto che si tratta solo dell'ultimo atto di un canovaccio che ormai conosciamo a memoria. Un'occasione mancata di cui i partiti "coinvolti" si assumeranno la responsabilità anche nei confronti degli elettori. Una scelta che va nel solco di quello stesso malcostume che ha portato l'astensionismo al 50%, la sfiducia dei cittadini nei confronti della politica a livelli record, ma che soprattutto rischia di legittimare il montare quella contestazione qualunquista e populista, che pure dovremmo essere portati a temere. Almeno in teoria, perché sinceramente "questa" politica è davvero indifendibile.