Le due puntate dell’inchiesta Lobby Nera di Fanpage.it hanno dato vita a un dibattito molto interessante nel corso delle ultime due settimane. Le immagini che documentavano il peso, ma soprattutto le ambizioni della destra estremista e neofascista, hanno determinato non soltanto una reazione forte della politica e dell’opinione pubblica, ma anche un’incredibile serie di accuse, insinuazioni e attacchi nei confronti del nostro giornale. Abbiamo letto e ascoltato praticamente di tutto, dal classico “chi vi paga” a fantasiose teorie del complotto, fino ad arrivare ad accuse più o meno esplicite di manipolazioni e di mancato rispetto dei principi della deontologia professionale. Come sempre, abbiamo preferito che fossero i lettori a farsi un’idea del nostro lavoro, evitando di farci trascinare in polemiche spesso fumose e strumentali.
Ci sono però delle questioni che abbiamo ritenuto opportuno chiarire, proprio perché chiamavano in causa il nostro operato. Il perché non avessimo accolto le pressanti richieste di Giorgia Meloni di farsi consegnare le ormai famose “100 ore di girato”, ad esempio. Oppure le dinamiche di un’inchiesta nata molti mesi prima e conclusasi solo a pochi giorni dal primo turno delle elezioni Comunali.
In questi ultimi giorni, però, c’è una nuova questione che pare monopolizzare la “reazione” all’inchiesta del team Backstair di Fanpage.it: il mistero della valigetta. Pur glissando per carità di patria su fantasiose teorie del complotto e su associazioni imbarazzanti (per chi le costruisce, s’intende), crediamo sia giusto chiarire questo passaggio, soprattutto alle accuse mosse dalla leader di Fratelli d’Italia. Dopo che la procura di Milano ha fatto sapere che il girato integrale della prima puntata (acquisito nell’ambito dell’inchiesta per riciclaggio e finanziamento illecito) è coerente con il servizio realizzato da Fanpage.it e mandato in onda a Piazzapulita; dopo che un’analisi più attenta ha permesso agli stessi dirigenti di Fdi di rendersi conto che quello di Milano non fosse un “caso isolato”; ora Giorgia Meloni ha trovato una nuova obiezione da formulare, riassumibile con “perché non avete seguito la valigetta consegnata a Jonghi Lavarini nell’ultimo atto dell’inchiesta?”
Non è chiarissimo a cosa alluda Meloni, probabilmente ci rimprovera di non essere andati fino in fondo per scoprire se quelle del Barone nero fossero o meno millanterie (ovvero se avesse o meno chiesto un aiuto per i suoi presunti referenti politici). Per la stima che abbiamo nei suoi confronti, infatti, ci rifiutiamo di pensare che possa aver abboccato a una delle strampalate teorie del complotto elaborate da giornalisti in qualche modo vicini al centrodestra. Per capirci, quelle del tipo “la donna in nero è un’attrice” o “erano d’accordo con Jonghi”.
Dunque, per quanto assurdo e incomprensibile ci appaia, data l’autoevidenza della ragione per cui non abbiamo “seguito la valigetta”, proveremo a chiarire meglio questo passaggio.
Come ha ricordato il direttore Francesco Cancellato a PiazzaPulita, la nostra copertura era destinata a saltare per forza nei giorni precedenti le Comunali. All’interno della valigetta (un trolley rosso) da consegnare decidiamo di mettere copie della Costituzione e libri sull’Olocausto: una scelta che renderà immediatamente chiara la situazione a Jonghi (che comunque riprendiamo mentre sorveglia “in incognito” il momento della consegna).
A quel punto non avrebbe avuto alcun senso seguire la valigetta, perché la nostra copertura era saltata, il Barone si sarebbe ritrovato con dei libri, tante domande e una prima risposta: non aveva mai avuto a che fare con il referente di una multinazionale. Una volta aperto il trolley, cosa avrebbe potuto fare a quel punto Jonghi? Dove si sarebbe recato a consegnare la Costituzione e i libri sull'Olocausto? Ecco, non c'era alcuna ragione giornalistica per "seguirlo", né alcuna possibilità concreta di continuare ad avere un dialogo con lui.
Come dimostra quanto accaduto dopo, peraltro. Dopo aver aperto la valigia, infatti, il Barone invia immediatamente una serie di minacce al nostro giornalista (la storia completa ve l'abbiamo raccontata qui):
E ci dà l’ulteriore conferma del fatto che si aspettasse di ricevere qualcosa di molto diverso, ammettendo di aver organizzato alcuni appuntamenti elettorali: “Ho bloccato sei iniziative su nove, ora mi toccherà pagare personalmente le altre promesse. Oltre il danno, la beffa”.
In definitiva, sappiamo chi ha preso in consegna la valigetta, chi l’ha ricevuta, chi ne ha appurato il contenuto e finanche come ha reagito. Il nostro lavoro giornalistico deve per forza di cose finire lì, ogni ulteriore azione sarebbe stata nel solco di quell’accanimento e speculazione di cui ora ci si accusa a sproposito. Il punto è sempre lo stesso, inutile girarci intorno: invece di rispondere nel merito delle questioni sollevate da un’inchiesta giornalistica, si cerca di delegittimarla, di confondere le acque, di fare confusione nel tentativo di spostare l’attenzione dall’oggetto al soggetto. In un singolare tentativo di inversione dell’onere della prova si mettono sotto accusa i giornalisti che hanno mostrato i fatti, non chi fa il saluto romano o intona cori razzisti. Si associa questo giornale a una fantomatica strategia della tensione, si lega un'inchiesta indipendente a fatti che non c'entrano nulla, si ipotizzano inesistenti relazioni fra i nostri giornalisti e determinati partiti politici (basterebbe guardare lo "storico" delle nostre inchieste…).
Noi, lo abbiamo spiegato più volte, non siamo interessati alla polemica politica con Giorgia Meloni o altri rappresentanti dei cittadini. Alla politica chiediamo solo di rispettare le prerogative di giornalisti e cittadini, di avere ben chiaro il pericolo della costante delegittimazione del settore dell'informazione, di riconoscere che una stampa libera e indipendente è essenziale nel processo democratico.
Crediamo di aver condotto un'inchiesta di grande utilità, soprattutto per i lettori, che hanno uno strumento in più per decrittare il reale, per capire le dinamiche politiche e farsi una propria opinione. Lo abbiamo fatto al meglio delle nostre possibilità, ma soprattutto senza alcuna partigianeria o intento strumentale. Le critiche, anche durissime, da parte di lettori, colleghi e classe politica sono sempre ben accette. Di errori ne abbiamo fatti tanti e purtroppo ne faremo ancora, siamo un giornale giovane che deve ancora crescere e migliorare tanto. Non possiamo però far altro che respingere le accuse e gli insulti gratuiti, che mortificano la professionalità e l'integrità di chi lavora a questo giornale. Che ha sempre dimostrato di non avere altri padroni che non il supremo interesse del lettore a essere informato.