L’obbligo vaccinale per i sanitari non è incostituzionale, Consulta: “Dati scientifici lo impongono”
La decisione di imporre ai lavoratori impiegati in strutture residenziali, socio-assistenziali e socio-sanitarie, l'obbligo vaccinale anti Covid, invece di consentire il ricorso ai test diagnostici, cioè i tamponi, secondo la Corte Costituzionale non ha costituito una soluzione irragionevole o sproporzionata rispetto ai dati scientifici disponibili. È il contenuto della sentenza n.15 del 2023 (redattore Stefano Petitti) depositata oggi e pronunciata il primo dicembre dello scorso anno.
La Consulta ha dunque ritenuto non fondata la questione di legittimità costituzionale, sollevata dal Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione Siciliana, concernente l'obbligo vaccinale per la prevenzione dell'infezione da SARS-Cov-2 per il personale sanitario. Come anticipato con il comunicato del 1 dicembre scorso, la Corte ha ritenuto che la scelta assunta dal legislatore al fine di prevenire la diffusione del virus, limitandone la circolazione, non possa ritenersi irragionevole né sproporzionata, alla luce della situazione epidemiologica e delle risultanze scientifiche disponibili.
In continuità con la propria giurisprudenza in materia di trattamenti sanitari obbligatori, i giudici hanno ribadito innanzitutto che l'articolo 32 della Costituzione affida al legislatore il compito di bilanciare, alla luce del principio di solidarietà, il diritto dell'individuo all'autodeterminazione rispetto alla propria salute con il coesistente diritto alla salute degli altri e quindi con l'interesse della collettività. In applicazione di questi princìpi, la Corte ha giudicato non fondati i dubbi di costituzionalità prospettati dal giudice rimettente: di fronte alla situazione epidemiologica in atto, infatti, il legislatore ha tenuto conto dei dati forniti dalle autorità scientifico-sanitarie, nazionali e sovranazionali, istituzionalmente preposte al settore, quanto a efficacia e sicurezza dei vaccini; e, sulla base di questi dati scientificamente attendibili, ha operato una scelta che non appare inidonea allo scopo, né irragionevole o sproporzionata.
Come emerge dall'analisi comparata, del resto, misure simili sono state adottate anche in altri Paesi europei. Nella sua pronuncia, in particolare, la Corte ha chiarito – sempre in linea con la propria giurisprudenza – che il rischio remoto, non eliminabile, che si possano verificare eventi avversi anche gravi sulla salute del singolo, non rende di per sé costituzionalmente illegittima la previsione di un trattamento sanitario obbligatorio, ma costituisce semmai titolo all'indennizzo.
"Non può, pertanto, condividersi – si legge nella motivazione della sentenza – la lettura che il Collegio rimettente dà della giurisprudenza di questa Corte, la quale ha, per contro, affermato che devono ritenersi leciti i trattamenti sanitari, e tra questi le vaccinazioni obbligatorie, che, al fine di tutelare la salute collettiva, possano comportare il rischio di ‘conseguenze indesiderate, pregiudizievoli oltre il limite del normalmente tollerabile' (sentenza numero 118 del 1996)".
Quanto, infine, alla censura di contraddittorietà di una disciplina che impone il consenso a fronte di un obbligo vaccinale, la Corte ha rilevato che "l'obbligatorietà del vaccino lascia comunque al singolo la possibilità di scegliere se adempiere o sottrarsi all'obbligo, assumendosi responsabilmente, in questo secondo caso, le conseguenze previste dalla legge".
"Qualora, invece, il singolo – continua la sentenza – adempia all'obbligo vaccinale, il consenso, pur a fronte dell'obbligo, è rivolto, proprio nel rispetto dell'intangibilità della persona, ad autorizzare la materiale inoculazione del vaccino".