Abbiamo assistito ad uno scontro tra due leader ma uno scontro falso. Uno scontro macchiato dalla consapevolezza di essere davanti alle telecamere. Il risultato non è stata una consultazione ma l’ennesimo show televisivo (da parte di entrambi) di cui, davvero, non se ne sentiva il bisogno.
Ascoltare Grillo usare la leva di un Di Maio “tosto perché napoletano”, dei risultati in commissione vigilanza di Fico, e Renzi rispondere a tono “vogliamo abolire le province, superare il Senato”, come neanche in un Porta a Porta di quart’ordine, è uno spettacolo degradante che l’Italia – in questo momento storico – davvero non merita.
Ascoltare i due leader dei principali partiti battibeccare, rubarsi la scena, solo per prendere un punto in più di audience è il frutto distorto di un sistema che crede che basti mettere in streaming un incontro per renderlo “reale”.
Come si può credere che delle persone agiscano in maniera “naturale” sapendo di avere gli occhi di milioni di spettatori puntate addosso? Come si può mettere sullo stesso piano la nascita del Governo di un paese con una puntata del Grande Fratello? Perché di questo stiamo parlando. Di un incontro ad uso e consumo dei media. Di un incontro in cui entrambi si sono riempiti la bocca di parole quali “i problemi reali del paese, il dolore delle persone” ma che in realtà è stato la sublimazione dell’autoreferenzialità: “noi abbiamo fatto questo, vogliamo fare quello, etc, etc…”. Una sublimazione che ha raggiunto il suo apice con lo scambio: “ti venivo a guardare da ragazzo, so che provochi”, “c’ho quarant’anni di mestiere se volevo provocarti…”
E’ incredibile come il germe consumistico-televisivo abbia trasformato anche la politica in un “blob” da dare in pasto agli elettori. Una finzione che ha mutato gli italiani prima e le sue istituzioni poi, rendendo i luoghi della democrazia meri show televisivi.
La colpa non può essere imputata solo a Grillo, non è lui che ha trasformato Porta a Porta nella “terza Camera”, non è lui che ha iniziato a discutere le leggi prima in televisione e poi in Parlamento, no. E’ stato un degrado lento e incessante. Un degrado lento e incessante che ha mischiato istituzioni e televisioni. Così, mentre da una parte Presidenti del Consiglio andavano prima in tv e poi in aula a parlare di riforme, dall’altra i parlamentari utilizzavano le telecamere presenti alla Camera come cassa di risonanza per i propri istinti più beceri (tra mortadelle, schiaffi, amanti, vaff… e gesti sconci), facendoci scadere in sedute d’aula che potrebbero competere con uno qualsiasi dei film di Vanzina.
Aumentare la visibilità degli interlocutori, in questi ultimi 30 anni, non ha creato una classe più matura ma solo una classe “audience-dipendente” che agisce con l’obiettivo di spararla più grossa dell’altro. Una classe che ha fatto proprio il credo del “basta che se ne parli”. Perché è solo estremizzando lo scontro, solo creando di volta in volta il nemico che si compattano le proprie truppe. Lo sapeva bene la DC così come Berlusconi. E lo sa oggi Grillo e – in parte – lo stesso Renzi.
Ma per polarizzare un consenso così vasto e dislocato sul territorio c’è bisogno del supporto dei mezzi di massa. Ed ecco che lo streaming di una consultazione diventa uno show ad uso e consumo dei partecipanti. Degradare la formazione di un governo a spettacolo di varietà è quanto di peggio possa succedere al DNA di una nazione.
Perché se anche uno dei momenti più importanti del vita di un paese si trasforma in una “fiction” allora viene da chiedersi come si permettano Grillo e Renzi di riempirsi la bocca con parole quali “il dolore vero delle persone”. Nel dolore vero delle persone non ci sono siparietti, nel dolore vero delle persone non ci sono telecamere, nel dolore vero delle persone non ci sono Bruno Vespa che annunciano “a domani sera”. Il dolore vero delle persone non va in televisione perché ha troppa dignità per diventare merce di largo consumo.