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Lo strano caso delle partite Iva che con il concordato pagheranno più tasse anche se guadagnano meno

Con il concordato preventivo biennale, le partite Iva possono stabilire con il Fisco quante tasse versare nei prossimi due anni. Il rischio è che, per chi è ritenuto poco affidabile dall’Agenzia delle Entrate ma non solo, l’accordo sia al rialzo. E che anche se poi il reddito dovesse calare, si ritroveranno a pagare più imposte del dovuto.
A cura di Luca Pons
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Il concordato preventivo biennale è uno degli strumenti su cui il governo Meloni ha deciso di puntare di più per ‘fare cassa' nei prossimi anni, ma rischia di diventare un'arma a doppio taglio. Chi aderisce, infatti, potrebbe ritrovarsi a pagare più imposte anche se il suo reddito scende. Cosa che potrebbe spingere le partite Iva e i forfettari a scegliere di rinunciare del tutto alla proposta.

Il ragionamento alla base della misura è questo: una partita Iva che rispetta certi requisiti – almeno una dichiarazione dei redditi consegnata negli ultimi tre anni, debiti tributari al di sotto dei 5mila euro, anche i forfettari se sono attivi almeno dal 2022 – può fare un accordo con il Fisco, ovvero stabilire in anticipo quale sarà il suo reddito (e quindi quanto dovrà pagare di imposte) per i successivi due anni; in cambio, per quei due anni i controlli dell'Agenzia delle Entrate sono molto limitati. Per i forfettari, invece, l'accordo è limitato a un solo anno.

Si tratta di una misura che, evidentemente, può risultare vantaggiosa soprattutto per chi negli scorsi anni ha dichiarato meno di quanto dovuto: accettando di versare più tasse, si evitano controlli e sanzioni e ci si ‘mette in regola'. La questione è, però, quanto sia davvero conveniente. Tutto dipende dal calcolo del reddito dei prossimi anni, che viene effettuato con un apposito software dall'Agenzia delle Entrate per poi formulare una proposta al contribuente. Per calcolare questo reddito si tiene conto naturalmente di quanto dichiarato negli ultimi anni, del settore di attività e della situazione economica in generale. Ma soprattutto, a influire è il punteggio Isa: le famose ‘pagelle' che valutano con un ‘voto' da 1 a 10 quanto sia affidabile una partita Iva per il Fisco.

Inizialmente il concordato doveva essere accessibile solo a chi ha un punteggio superiore a 8, ma molto presto nella stesura del provvedimento da parte del governo questo requisito è sparito. Tutti quanti perciò possono accedere, anche coloro che – secondo le valutazioni dell'Agenzia delle Entrate – probabilmente sono poco affidabili, ad esempio non dichiarano tutto il dovuto.

Di contro, però, più la pagella Isa è bassa, più la stima del reddito futuro è alta. Infatti, per chi ha un voto vicino al 10 tendenzialmente la previsione è che le entrate nei prossimi anni possano aumentare leggermente, di pochi punti percentuali. Questo fa sì che, per chi prevede di avere una buona crescita nel prossimo biennio, il concordato possa essere davvero conveniente: nel 2025 e nel 2026, a prescindere dall'aumento dei guadagni, pagherà comunque l'imposta concordata con il Fisco, e per di più eviterà accertamenti. Se però, al contrario, nei prossimi anni ci dovesse essere un calo delle entrate, si sarà comunque tenuti a pagare più tasse come da accordi.

Chi invece ha un punteggio più basso, specialmente al di sotto dell'8, ha un aumento previsto decisamente più alto. Una correzione necessaria anche per tenere conto di chi magari, negli ultimi anni, ha evaso parte delle sue entrate. Se ad esempio una partita Iva ha dichiarato circa 20mila euro all'anno, ma l'Agenzia delle Entrate ritiene che si tratti di un contribuente poco affidabile (e che quindi i suoi veri guadagni potrebbero essere ben più alti), certamente proporrà di concordare un reddito maggiore. Se la stima però è troppo alta, e negli anni successivi la partita Iva in questione ha un calo delle entrate, si ritroverà a dover pagare tasse più alte mentre guadagna di meno. Restando con l'unico vantaggio di uno stop ai controlli del Fisco.

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