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Lo strano caso del Pd, il partito in cui nulla si crea, nulla si distrugge e nulla si trasforma

Il PD con sembra proprio non riesca (o forse non l’ha mai fatto) ad essere quel grande partito di sinistra che era nelle idee di chi lo ha creato o perlomeno nelle sue radici, e sembra che non sia capace di rappresentare i movimenti e le istanze progressiste e radicali che sono nate negli ultimi vent’anni e che sono importanti, intelligenti e fondamentali per l’ambiente, per l’economia e per i diritti civili. Perché?
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Negli ultimi dieci anni, dal governo Monti in poi, il Pd in nome della stabilità e della "responsabilità" nazionale si è alleato praticamente con quasi tutte le forze politiche a disposizione, da destra a sinistra, passando per i movimenti anti-sistema… poi trasformati in partiti anti-sistema, poi divenuti partiti di governo, ma sempre conservando una certa antipatia nei confronti del sistema, ci mancherebbe.

Nonostante questo perenne trasformismo governativo, il PD con il suo mobile immobilismo (scusate forse qui ho esagerato), sembra proprio non riesca (o forse non l'ha mai fatto) ad essere quel grande partito di sinistra che era nelle idee di chi lo ha creato o perlomeno nelle sue radici, e sembra che non sia capace di rappresentare i movimenti e le istanze progressiste e radicali che sono nate negli ultimi vent'anni e che sono importanti, intelligenti e fondamentali per l'ambiente, per l'economia e per i diritti civili. Perché?
"Dì qualcosa di sinistra, ti prego!" Così urlava Nanni Moretti, rivolgendosi a D'alema, mentre lo guardava, impotente, in televisione, in un suo film, Aprile, del 1998. Quasi venticinque anni fa. Ed è lo stesso urlo che vorremmo rivolgere a Letta, venticinque anni dopo, ogni volta che lo vediamo, in televisione, parlare di programmi e accordi elettorali.

Nel 2013 il Terzo Segreto di Satira – un collettivo di videomaker da milioni di views, di cui ho la fortuna di fare parte in veste di attore – proponeva un video sulle primarie del PD, appunto, che candidava come proprio uomo di punta Gianni Cuperlo, figura simbolo (a loro dire) della svolta, uomo nuovo e risolutivo di ogni problema. "Ma come Cuperlo?!?" era il tormentone di quel video, che metteva in scena una serie di situazioni in cui il protagonista aveva provato quella stessa sensazione di disagio, smarrimento, imbarazzo e confusione, che lo aveva assalito nel momento in cui aveva scoperto quale fosse il candidato "ideale" per il suo partito.
E dopo quasi dieci anni non sembra cambiato nulla: ma come Calenda?!? ma come Di Maio?!?

Come è possibile che nel PD apparentemente nulla si crei, nulla si distrugga e nemmeno si trasformi?
Sarà forse colpa della maledizione dei moderati? Quell'eterno inseguimento del centro al quale i Dem sembrano destinati per l'eternità? Eppure basterebbe farsi un giro nelle feste che una volta si chiamavano "dell'Unità" o nei circoli e passare qualche giorno con molte delle persone che rappresentano la base, per accorgersi quanto il partito appaia schizofrenico, con due personalità ben distinte: quella che si muove dal basso, che chiama gli altri "compagni e compagne", che crede in un'idea di comunità, in valori che sono oggettivamente lontani e differenti anni luce da quelli della destra sovranista, liberista e populista (e diciamolo: post-fascista) che occupa la scena nazionale, nonché la campagna elettorale – visto che sembra che gli unici davvero interessati a vincere le lezioni siano proprio loro -, che si richiama senza dubbi ai valori dell'antifascismo e della democrazia, e che è sempre pronta a turarsi il naso pur di impedire l'avanzata dell'avversario. Forse anche in virtù di quel sentimento inconscio di "felicità della sconfitta", di perenne perdente, di voglia di opposizione che – diciamolo – non abbandona mai la sinistra in Italia, che da sempre ha un pò quel vago sensore di vittimismo che le piace tanto poter sfoggiare ad ogni nuovo "pericoloso avversario" che si chiami Berlusconi, Salvini o Meloni.

E poi c'è l'altra personalità del PD: quella di governo, quella degli esponenti di partito, dei leader, dei portavoce che malauguratamente è troppo spesso sorda, cieca e muta rispetto a quello che accade fra i suoi elettori ed elettrici: come la scimmietta ma senza essere altrettanto saggia.

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È vero, in questo momento guardando i sondaggi è molto facile immaginare un'Italia in mano post-fascisti e sovranisti, e di certo non piace al PD e alla sua base. Però sarebbe altrettanto facile immaginare e proporre un'Italia con un salario minimo garantito, con un reddito di discontinuità per i lavoratori e lavoratrici dello spettacolo, con un serio programma ecologico che metta al centro dell'agenda politica il cambiamento climatico e le sue conseguenze, con una legge sullo stalking, sui femminicidi e sulla parità di genere, con una legge contro l'omofobia, con un numero di riconoscimento sui caschi delle guardie, con una tassazione sui grandi patrimoni e con l'applicazione delle leggi vigenti sull'apologia del fascismo e la ricostituzione del partito fascista. Tutte idee che non sono certo mie, ma che vengono dal basso, che sono richieste da moltissimi e moltissime giovani ventenni che hanno giustamente e sacrosantamente (che non si dice ma mi arrogo il diritto di licenza poetica) una diversa e nuova visione delle cose del mondo, una "sinistra" differente da quella che hanno ereditato dai loro genitori ma che troppo spesso, ahimé, viene liquidata come ingenua giovinezza.

È da quando sono ragazzino che mi sento ripetere che per crescere bisogna adattarsi alle circostanze, cambiare, cedere ai compromessi, cercare di fare del proprio meglio facendo il meno peggio: bè io sono ancora qui che ambisco a sognare, a pensare ad una società diversa e per certi aspetti migliore, a progettare un altro mondo possibile. E se riesco a farlo io che sono l'ultimo dei cretini direi che non è così difficile (che peraltro non ho capito bene se essendo arrivato ultimo alla gara dei cretini, non lo sono così tanto o forse è proprio perché lo sono che sono arrivato ultimo).

Ho sempre odiato le metafore sportive perché le ritengo stupide e superficiali – di solito quando non si ha nulla da dire si tira fuori la metafora del calcio e via che si va – quindi probabilmente lo sono anch'io perché sto per farne una però: se voglio vincere una gara, io mi alleno. Anche se penso che i miei avversari siano più forti di me continuo ad allenarmi, anzi lo faccio con più dedizione e fatica perché spero sempre di vincere altrimenti che cazzo gioco a fare? A quel punto mi sto a casa e buonanotte. Non è che smetto di allenarmi perché tanto so già che perdo, non è che prima di entrare in campo ai miei compagni di squadra per motivarli, urlo: "Forza ragazzi entriamo in campo e arriviamo secondi come solo noi sappiamo fare! Dai dai dai facciamo vedere al mondo come siamo bravi a perdere!" E no cazzo!

Berlinguer è stato uno dei più grandi politici italiani e delle figure più carismatiche della nostra storia, però è morto oramai da quasi quarant'anni, e non è che lo si puo' tirare fuori ogni volta come un santino perché oggi non abbiamo "più uomini come lui". Troviamole queste nuove persone, anzi cerchiamole oppure più semplicemente guardiamo avanti, immaginiamo un percorso diverso, diamo ascolto ai giovanissimi e giovanissime che hanno un senso di empatia e solidarietà totalmente diverso e per certi aspetti migliore e più evoluto del nostro.
Forse semplicemente la sinistra in Italia ha sempre troppa paura di perdere e per questo non vince mai, nemmeno quando vince.

Vabbè poi ci sarebbero da fare altri mille altri discorsi di carattere sociologico, economico sulla crisi del socialismo a livello globale, ma io sono pur sempre quello che è arrivato ultimi alla gara dei cretini, quindi direi che ho parlato – anzi scritto – anche troppo. E comunque: "Berlinguer ti voglio bene".

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