Il 26 febbraio 2023 è stata pubblicata la sentenza sulla causa intentata da Giudizio Universale, il primo contenzioso climatico contro lo Stato Italiano. E le cose non sono andate come si auguravano cittadini e attivisti: la Giudice Assunta Canonaco ha infatti stabilito l'inammissibilità della causa.
Il procedimento era stato intentato a dicembre 2021 da 203 ricorrenti, accusava lo Stato di inadempienza rispetto agli Accordi Internazionali sul Clima, facendo riferimento anche a fonti nazionali (quali la Costituzione e il Codice Civile). Al Tribunale Ordinario di Roma veniva chiesto di dichiarare lo Stato Italiano “responsabile della situazione di pericolo derivante dalla sua inerzia nel contrasto all’emergenza climatica”, e condannarlo ad abbattere le emissioni di gas serra in modo da rispettare le traiettorie imposte dall’Accordo di Parigi sul clima del 2015 (nello specifico, ridurre le emissioni del 92% entro il 2030 per rimanere entro 1.5° di aumento della temperatura sopra i livelli pre industriali).
Il contenzioso italiano si inserisce in un ventaglio di cause climatiche emerse negli ultimi anni in tutto il mondo. In Europa ci sono stati già casi di successo in diversi paesi, tra cui Irlanda, Belgio, Francia, Repubblica Ceca, Germania e Olanda. Eppure, nonostante le premesse analoghe, la giustizia italiana si discosta da questo trend con una sentenza che dichiara “inammissibili le domande proposte dagli attori”, concludendo così il primo grado di giudizio. Ovviamente l’ordinamento nazionale italiano è diverso da quello di altri paesi, ma allo stesso tempo c’è tutta una normativa internazionale ed europea in comune, che dovrebbe essere applicata e tutelata anche in Italia.
Ciò che sta accadendo nel resto del mondo è che, laddove la politica si discosta dalla scienza del clima minacciando così dei diritti fondamentali dei cittadini, i giudici intervengono per tutelarli. In Italia la casistica dimostra che i tribunali sembrano essere più riluttanti a condannare la Pubblica Amministrazione. Questa sembra essere trattata dalla giustizia con più cautela, timore o addirittura sudditanza, vista la gravità di questa sentenza alla causa di Giudizio Universale. Secondo la Giudice, in Italia nessun tribunale può intervenire sulle tutele dei diritti dei cittadini in base al cambiamento climatico e agli accordi internazionali firmati dall’Italia (si parla infatti di difetto assoluto di giurisdizione).
“È una scelta di retroguardia”, afferma Marica Di Pierri, co-coordinatrice della campagna Giudizio Universale. “Non possiamo negare di essere delusi dall'esito del processo ed è certo che impugneremo la decisione”. Il team di giuristi e avvocati della Rete Legalità per il Clima evidenzia il contrasto di questa sentenza con “la Carta dei Diritti fondamentali dell'UE e con la CEDU, strumenti di tutela che non contemplano limiti di accesso al giudice nelle questioni climatiche”. Si dichiara altrettanto delusa Marjan Minnesma, direttrice di Urgenda (la no-profit che nel 2019 ha vinto una causa contro il governo olandese): “Mentre gli impatti climatici estremi continuano a devastare tutti i continenti, i tribunali italiani non dovrebbero sottrarsi al loro dovere costituzionale: dovrebbero seguire le orme di quei tribunali che già hanno indicato la strada, assicurando che i governi rispettino i loro obblighi giuridici e mantengano gli impegni presi per affrontare l'emergenza climatica.”.
La domanda sorge spontanea: chi tutela i diritti dei cittadini di fronte alla politica che non rispetta gli accordi sul clima? Di fronte all’urgenza della crisi climatica, sottolineata continuamente dalla scienza e anche riconosciuta dalla sentenza di Giudizio Universale, chi vigila sul mantenimento delle promesse delle istituzioni?
È chiaro che la natura della questione climatica sia più politica che giuridica, ma gli impatti della crisi sulle persone sono tali da rappresentare una mancata tutela di diritti fondamentali, nel momento in cui le istituzioni hanno gli strumenti per agire nel contesto dell'emergenza e non lo fanno. Nonostante l’Italia abbia sottoscritto trattati e accordi che impongono la riduzione delle emissioni di gas serra, l'inazione dei governi che si sono succeduti non è cambiata. Se i tribunali non possono giudicare la politica per il mancato rispetto degli accordi e degli impegni presi, a chi si possono rivolgere i cittadini? La campagna di Giudizio Universale non si conclude però con il giudizio negativo: “Continueremo a batterci per vedere le nostre istanze accolte e il diritto al clima riconosciuto”, spiega Di Pierri.
Se la giustizia non interviene, se le istituzioni sono libere di non rispettare gli impegni che sottoscrivono, perché i cittadini non dovrebbero ricorrere alla disobbedienza civile? Anche in questo campo arrivano notizie di successo dall’estero, e in Italia le opportunità per attivarsi abbondano. Continuando ad avere fiducia nei prossimi appuntamenti legali di Giudizio Universale, è necessario agire su tutti gli altri fronti.