Tutto sommato c'era da aspettarselo ed erano in pochi a prospettare un avvio diverso. La nuova legislatura si apre infatti sulla falsariga della prima, con una decisione unilaterale (ora del Pd, qualche mese fa di Monti), giunta tra "complottismi" e tatticismi, accolta dalla levata di scudi delle altre forze politiche e condita da battibecchi ed insulti. In pieno stile italico, con tanto di accusa di "finto-vero-inciucio-trappola" lanciata da un Beppe Grillo passato dal furioso al conciliante nel breve volgere di qualche ora (con una correzione di rotta sulla quale hanno influito le critiche della base). Del resto, su quello che sono riusciti a combinare gli eletti del Movimento a 5 Stelle ci sarebbe da parlare per ore. Basti una semplice considerazione: di fronte al bivio tra una conquista storica (la Presidenza della Camera dei Deputati), intorno alla quale incominciare quel percorso di cambiamento radicale di cui parlano da anni, e una decisa riproposizione dell'alterità di fondo rispetto alla vecchia politica che offre solo alternative "fra la peste ed un raffreddore", i cinque stelle hanno operato invece una decisa retromarcia. Non solo non sono riusciti a valutare la distanza che passa fra un inciucio ed una mediazione proficua (per il Movimento, per la politica e per il Paese), ma hanno finito con il dare una conferma a chi li accusa di essere ancora alla ricerca di una identità precisa.
Intendiamoci, Grillo ha tutte le ragioni per rivendicare la non partecipazione del Movimento 5 Stelle a tavoli, incontri e compromessi vecchia maniera. Come scrivevamo qualche settimana fa, davvero fatichiamo a capire il motivo per il quale debba essere il Movimento 5 Stelle a fornire un salvagente a quella politica contro la quale ha sempre operato, agito, comunicato. Finendo col tradire quella che è la missione originaria e, sostanzialmente, unica: ribaltare l'attuale sistema politico e aprire una crepa nella democrazia rappresentativa basata sul parlamentarismo da prima Repubblica. Questo però non ha nulla a che vedere con la crescita dal punto di vista della qualità politica del Movimento, che non può restare ancorato agli umori ed alle indicazioni dell'uomo solo al comando. Una crescita che passa dal superamento del pregiudizio manicheo del "sono tutti uguali", dalla valutazione nel merito delle scelte (un po' come avviene in Sicilia) e soprattutto dall'abbandono graduale della logica del "tanto peggio, tanto meglio" che traspare da ogni post di Grillo.