Lo Ius Scholae e il sogno della cittadinanza: nelle scuole italiane tra bullismo e diversità
La proposta di legge sullo Ius Scholae darebbe la possibilità ai bambini nati da famiglie straniere, che hanno completato uno o più cicli scolastici, senza interruzioni, nel nostro paese, di ottenere la cittadinanza italiana. Un tema che riguarda quasi 900 studenti, che, nati da famiglie straniere, frequentano le nostre scuole e che hanno meno diritti degli altri studenti. Secondo i dati del Ministero dell'Istruzione, di questi 900 mila circa, il 64,5% è nato proprio in Italia ed ha iniziato qui il suo percorso formativo. Non avere la cittadinanza italiana per un ragazzino che ha svolto il suo percorso scolastico qui, significa privarlo degli stessi diritti che hanno i suoi compagni banco, significa partire con un handicap per tutto quello che vorranno fare nella loro vita. Eppure la polemica politica, aiutata dal clima da campagna elettorale, ha visto i partiti del centro destra alzare un muro contro l'ipotesi che la proposta di legge venisse discussa dal dimissionario governo Draghi. Una posizione squisitamente ideologica ma che nella realtà ha degli impatti devastanti sulla vita di questi bambini. Abbiamo chiesto a 4 di loro cosa ne pensano dello Ius Scholae e cosa significa per loro non avere la cittadinanza italiana.
"È come avere un italiano in più"
Anas, Nilema, Sofia e Nicole hanno tra i 16 e i 20 anni, hanno frequentano le scuole italiane, Nilema si è diplomata ed ha iniziato la carriera universitaria. "Non capisco chi si oppone allo ius scholae" ci spiega Nicole che ha 16 anni e frequenta il liceo linguistico. "Dicono che ci sarà più potere agli stranieri, ma non è così, semplicemente lo straniero diventa italiano, è come avere un cittadino italiano in più non in meno". "Se un bambino che fa le scuole in Italia, cresce in Italia, vive la sua vita qui, poi non ha la cittadinanza allora mi chiedo cosa possa mai fare?" sottolinea Nilema. Lei è nata a Vicenza ed ha iniziato le scuole in Veneto per poi trasferirsi a Napoli. "Non ho mai capito cosa vuol dire essere italiana, cos'è che ti rende italiana? Io penso in italiano, parlo italiano, ho la cultura italiana, ho lo stile di vita italiano, poi quando vado a fare i documenti sicuramente non mi sento italiana". Un ragazzino di 16 anni purtroppo fa subito i conti con quel gap di diritti che lo differenziano dai suoi coetanei. "Io volevo fare il magistrato da piccolo – ci dice Anas, 16 anni, studente di scienze umane – poi ho scoperto che per fare il concorso avrei bisogno della cittadinanza ed ora non ci penso più. Credo che chi si oppone a questa legge non capisca davvero cosa significhi la scuola per un ragazzo straniero in Italia". Già perché se la tua classe fa un viaggio d'istruzione fuori dall'Europa tu non puoi andarci, così come devi rinunciare subito ai tuoi progetti, a cosa vorresti fare da grande. "Io ho tantissime difficoltà, non posso nemmeno prendere la patente" ci spiega Sofia, 16 anni che studia al liceo scientifico di scienze applicate. La sua famiglia viene da El Salvador e lei ha svolto i cicli scolastici qui in Italia. "Io mi sento italiana perché vivo a Napoli, vivo a Napoli da tanti anni e ci vivrò per molti anni, mi sento italiana per questo e non ho bisogno di nessun documento per confermarlo" ci sottolinea fiera. La cittadinanza scava un solco tra ragazzini che hanno tanto in comune, ma c'è chi è cittadino di serie A e chi lo è di serie B. Una differenza che apre le porte ai fenomeni di bullismo. "Non ho mai capito cosa significa sentirsi italiano, io ho avuto compagni di scuola razzisti alle medie, che mi hanno insultato, bullizzato, mi hanno fatto sempre sentire straniero, non mi sono sentito accolto. Avevo quasi fatto l'abitudine a sentirmi straniero" commenta Anas.
Meno diritti significa più bullismo e più razzismo
Secondo i dati elaborati da Openpolis, tra gli studenti vittime di bullismo nelle scuole medie e superiori italiane, gli studenti di origine straniera sono circa il 17% in più. Un fenomeno che colpisce soprattutto i ragazzi provenienti da famiglie filippine, cinesi, moldave e ucraine. "Il razzismo non è nato oggi chiaramente – ci spiega Fatima Ouziri, operatrice sociale del centro interculturale "Gomitoli" di Napoli – ma oggi nella scuola capiamo quando stia cambiando il paese perché ci sono molti più bambini e bambine straniere". Sono oltre il 10% di tutta la popolazione scolastica secondo i dati del Ministero dell'Istruzione. "Molto spesso purtroppo il personale scolastico non è preparato a gestire situazioni di conflitto che inevitabilmente si presentano, i fenomeni di bullismo sono frequenti e se da un lato fanno crescere i ragazzi, al tempo stesso li segnano profondamente. Loro ne parlano continuamente con noi, sono cose che li segnano". È come il gioco delle sottrazioni: per integrare la diversità nel nostro paese i diritti si sottraggono invece di espandersi, e questo semplicemente aumenta le disuguaglianze che sono il terreno di coltura dei fenomeni di bullismo. "La cittadinanza non è solo un documento – sottolinea Ouziri – ma è possibilità di partecipare alle vita politica e sociale di un paese, è sentirsi riconosciuti dallo Stato. In questo quando poi ci confrontiamo con gli altri paese europei capiamo quanto noi italiani siamo poco europei. Incapaci di accettare la diversità di ogni tipo". E' lo specchio di un paese chiuso violentemente in se stesso che non fa i conti con una realtà che è qui ed ora. "Perché, secondo voi, è così difficile – si chiede l'operatrice sociale – dare la cittadinanza ad un ragazzino di origine straniera?". Già, perché?