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L’Italia si era impegnata a fermare la contenzione meccanica: dove sono i 60 mln stanziati da Speranza

L’ex ministro della Salute Speranza si era impegnato nel 2021 a fermare la contenzione meccanica in tutti i luoghi di cura entro il 2023. A questo scopo erano anche stati stanziati per le Regioni 60 milioni di euro, che avrebbero dovuto essere spesi entro dicembre 2022. Ma la contenzione meccanica è una pratica ancora diffusa nel Servizio sanitario nazionale, come denuncia l’onlus A Buon Diritto.
A cura di Annalisa Cangemi
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Nell’annuale Rapporto sullo stato dei diritti in Italia, realizzato dall’onlus A Buon Diritto, un capitolo è interamente dedicato alla salute mentale. Viene ricordata la vicenda di Wissem Ben Abdel Latif, arrivato con un barcone a Lampedusa il 2 ottobre 2021 e morto appena due mesi dopo, il 28 novembre 2021, all’età di 26 anni, nel reparto psichiatrico di Diagnosi e Cura (SPDC) dell’ospedale San Camillo, a Roma, legato per giorni braccia e gambe a un letto di contenzione.

La contenzione meccanica – una procedura che ricorre a mezzi fisici, come lacci, fasce e cinture per limitare i movimenti di un paziente psichiatrico – è una pratica che dovrebbe essere bandita dai luoghi di cura della salute mentale. O almeno questo era l’obiettivo che si era dato a giugno 2021 l'ex ministro della Salute Roberto Speranza, messo nero su bianco in una bozza di lavoro, inviata alle Regioni e ai Comuni per essere approvata in Conferenza Unificata, ma che ad oggi non è ancora stata approvata. In quel documento veniva fissato l’obiettivo del “definitivo superamento della contenzione meccanica in tutti luoghi della salute mentale in un triennio”, cioè alla fine del 2023.

Nel 2021 era stata anche firmata un’Intesa tra governo e Regioni sul documento ‘Linee di indirizzo per la realizzazione di progetti regionali volti al rafforzamento dei Dipartimenti di Salute Mentale regionali ́, con lo stanziamento di 60 milioni, ripartiti tra tutte le Regioni, per raggiungere diversi obietti, tra cui:

  • avviare/implementare dei percorsi per il superamento della contenzione meccanica
  • prevedere percorsi innovativi alternativi ai ricoveri nelle REMS, Residenze per l’Esecuzione delle Misure di Sicurezza (gli istituti che hanno sostituito gli ospedali psichiatrici giudiziari)

Nel documento si specificava che le attività progettuali avrebbero dovuto essere completate “entro e non oltre il 31 dicembre 2022”. Inoltre, recita il testo, “Entro il 31 gennaio 2023 le Regioni sono tenute a trasmettere una relazione sui risultati raggiunti compilando tutti i campi della scheda di rendicontazione allegata alle linee di indirizzo”. Ma nulla di tutto questo è successo, e soprattutto non si sa che fine abbiano fatto i 60 milioni stanziati.

“Questi soldi dovevano essere spesi entro il 31 dicembre 2022 e rendicontati al ministero entro il 31 gennaio 2023. Se questi soldi non fossero stati spesi dovrebbero tornare indietro al ministero – ha spiegato a Fanpage.it la direttrice di A Buon Diritto, Valentina Calderone – Vogliamo capire se sono arrivate queste rendicontazioni e come sono stati spesi i soldi. Nel caso in cui non riuscissimo a ottenere risposte dal nuovo governo proveremo a fare l’accesso agli atti. Vogliamo anche sapere se il nuovo ministro della Salute ha intenzione di rifinanziare un programma del genere e se si intendono investire altre risorse per sostenere le Regioni in questo processo”.

La contenzione meccanica, che secondo la tabella di marcia del ministro Speranza avrebbe dovuto essere del tutto superata entro il 2023, viene ancora utilizzata dal Servizio sanitario nazionale. In realtà già nel 2015 il Comitato Nazionale di Bioetica aveva invitato le strutture e le istituzioni a provvedere all’accantonamento di questa pratica, chiedendo di “predisporre programmi finalizzati al superamento della contenzione”.

“Esistono delle linee guida, approvate nel 2010, sulla contenzione. Ma non tutte le Regioni hanno recepito quel documento. Una delle richieste principali che abbiamo fatto con diverse campagne è di effettuare un monitoraggio su quello che avviene all’interno dei reparti. Le ultime fonti informative specifiche sono delle ricerche fatte nel 2001 e nel 2005, quindi molto vecchie. All’epoca, su circa 320 Servizi Psichiatrici di Diagnosi e Cura degli ospedali, nell’85% dei casi si legava”, ha detto a Fanpage.it Valentina Calderone. “Dei 320 SPDC, solo una ventina non applicano la contenzione. Questi reparti virtuosi dimostrano che in realtà operare negli SPDC senza contenere è possibile”.

Non tutte le Regioni sono però uguali, il panorama è molto variegato: alcune, come l’Emilia-Romagna, effettuano da anni i monitoraggi all’interno dei reparti; altre, come la Puglia, effettuano il monitoraggio ma non sempre i dati sono disponibili; in altre il monitoraggio sul fenomeno non è mai partito.

All’estero la situazione non va meglio. “Paradossalmente siamo uno dei paesi più avanzati in tema di psichiatria, avendo avuto Basaglia e avendo chiuso i manicomi ormai più di 40 anni fa. In altre parti del mondo non esistono buone pratiche a cui possiamo guardare come modello”, ha sottolineato Calderone.

Le ultime morti per contenzione meccanica in Italia

A Buon Diritto ha iniziato a occuparsi del tema dal caso di Francesco Mastrogiovanni, morto nell’agosto 2009 nel reparto psichiatrico dell'Ospedale San Luca di Vallo della Lucania, dopo essere stato legato a un letto per più di 87 ore. In questo caso è stato possibile stabilire un nesso causale tra la morte e la contenzione, ma non è scontato che ciò avvenga.

Un’altra vittima della contenzione meccanica in Italia è stata Elena Casetto, morta carbonizzata in un letto nell’agosto 2019 a 19 anni, a causa di un incendio divampato nel reparto di psichiatria dell’Ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo. Per questa vicenda il processo è iniziato da poco: gli unici due imputati, addetti della squadra antincendio, sono stati rinviati a giudizio per omicidio colposo, pernegligenza e imperizia".

L’ultima in ordine di tempo è la vicenda di Wissem Ben Abdel Latif, per la cui morte proseguono le indagini ma il processo non è neanche iniziato (nonostante il giovane sia deceduto da più di un anno).

La storia di Wissem Ben Abdel Latif

L’ultimo Rapporto sullo Stato dei diritti in Italia ripercorre la storia di Wissem Ben Abdel Latif, morto il 28 novembre 2021, a 26 anni, a due mesi dal suo arrivo in Italia. Il ragazzo è deceduto in un reparto psichiatrico di Diagnosi e Cura (SPDC) di un Ospedale pubblico italiano, il San Camillo, a Roma, legato per giorni braccia e gambe a un letto di contenzione.

Al momento del suo arrivo a Lampedusa, scrive il rapporto, al giovane non viene accertato alcun disturbo, nemmeno durante la permanenza a bordo della nave quarantena dove viene condotto il giorno successivo per le disposizioni anti-Covid. Il 13 ottobre 2021 viene trasferito al Centro per il rimpatrio (Cpr) di Ponte Galeria, senza aver mai potuto fare richiesta di protezione internazionale. All’ingresso nel Cpr risulta ancora orientato nello spazio e nel tempo. Alcuni video girati con un cellulare di uno dei suoi compagni documentano le condizioni di detenzione in cui è costretto con tanti altri migranti, alcuni testimoni raccontano le violenze subite dal ragazzo.

Il 23 novembre 2021, dopo appena due visite effettuate dallo psichiatra del Centro di salute mentale (Csm), su richiesta della psicologa del Cpr, dopo 40 giorni di detenzione, Wissem, con una diagnosi che appare affrettata, viene inviato al Pronto Soccorso di Ostia e da qui, il 25 novembre, trasferito a Roma, dove resta durante tutto il ricovero legato a un letto sovrannumerario in corridoio.

Durante il ricovero, specifica il rapporto, Wissem non avrà a disposizione nemmeno un mediatore culturale, e non risulta che gli sia stato fatto un un colloquio psichiatrico approfondito.

La cosa più assurda è che il 24 novembre 2021 l’esecutività dei provvedimenti di respingimento e di trattenimento presso il Cpr di Ponte Galeria viene sospesa dal Giudice di Pace di Siracusa. Wissem quindi dovrebbe essere rimesso in libertà, ma nessuno glielo comunica, mentre il giovane continua a essere sedato e contenuto in ospedale. La contenzione fisica è tra l’altro accompagnata da una terapia psicofarmacologica estremamente pesante, e sebbene alcuni esami clinici potrebbero indicare un pericoloso danno muscolare o cardiaco, durante il ricovero il ragazzo non viene nemmeno sottoposto a un banale elettrocardiogramma.

All’alba del 28 novembre 2021 Wissem muore per arresto cardio circolatorio, legato a un letto nel corridoio del reparto psichiatrico, senza mai aver vissuto un solo giorno di libertà in Italia. L’autopsia viene eseguita senza informare i familiari, che apprenderanno della morte di Wissem solo giorni dopo l’accaduto.

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