“L’Italia mi vuole ammazzare”, il grido di aiuto di Aziz Tarhouni dal Cpr di Trapani

I segni dei vetri con cui ha provato ad ammazzarsi ricoprono il braccio di Aziz, 18 anni appena compiuti e il volto di un bambino.
La foto che lo ritrae è stata scattata dentro il Cpr di Trapani-Milo, nell’omonima provincia siciliana, in cui Aziz Tarhouni è detenuto dal 26 novembre 2024 e dove da allora ha tentato di porre fine alla propria giovane vita per ben due volte.
“È finito in pronto soccorso due volte, una il 6 gennaio, l’altra il 12 febbraio”, racconta a Fanpage.it il suo avvocato Gaetano Pasqualino, “la prima volta l’avevano trovato pieno di tagli alle braccia, la seconda aveva ingerito shampoo, delle viti e dei bulloni”.
Il giovane, adesso diciottenne, è fuggito dalla Tunisia quando ancora era un minore, da solo. “Dovevo salvarmi la vita”, ha raccontato al suo avvocato.
Al colloquio psicosociale – come scrive la dottoressa Antonella Ciotta nella documentazione visionata da Fanpage.it, – dichiara che i suoi genitori sono in Tunisia. Ha due fratelli, di cui uno in collegio nella sua città natale e l'altro a Catania, presso una comunità. Aziz è stato costretto a scappare dal suo paese perché impaurito dalle continue minacce agite nei confronti del padre da parte di un gruppo di delinquenti locali, per una questione di soldi. Racconta che le stesse persone che minacciavano il padre un giorno hanno provato a bruciare vivo il fratello maggiore. È allora che ha deciso di fuggire.
Da solo Aziz è sale su un barchino che dalle coste Tunisine lo porterà a quelle siciliane. Arriva in Italia illegalmente, affrontando il mare a soli 17 anni. Sbarca a Pantelleria e poi viene trasferito a Castelvetrano (Tp), dove vive in libertà per un breve periodo di tempo. Lì inizia ad avere problemi con altri ragazzi, così decide di spostarsi in Emilia-Romagna presso una comunità per minori, ma dopo due mesi e raggiunta la maggiore età – come spesso accade – è costretto a lasciare la comunità ospitante e quindi ad uscire dal circuito dell’accoglienza per minori, senza alcun documento.
Per un periodo vive per strada finché decide di ritornare in Sicilia, precisamente a Salemi. Lì inizia un lavoro irregolare in campagna, sfruttato come bracciante, finché un giorno durante un controllo viene prelevato dalla polizia e portato al Cpr di Trapani, dove si trova attualmente.
L'avvocato Pasqualino, che gli fa visita ogni settimana, lo descrive come un “ragazzo piccolo e indifeso”, da due settimane il giovane ha smesso di parlare. “Ha sviluppato una sorta di mutismo nonostante prima parlasse senza problemi”, continua l’avvocato, “adesso biascica parole senza un filo logico, quando ancora parlava mi ha detto che si voleva impiccare e che voleva tornare a casa, perché l’Italia lo vuole ammazzare”.
Secondo il medico Nicola Cocco, esperto di medicina detentiva e delle migrazioni, quello di Aziz Tarhouni è un chiaro esempio di violenza assistita, e di conseguente stato depressivo, che si verifica quando i bambini sono spettatori di qualsiasi forma di maltrattamento, espresso attraverso atti di violenza fisica, verbale, psicologica, sessuale o economica su figure di riferimento o su altre figure affettivamente significative, adulte o minori. “Il giovane racconta di essere terrorizzato nel sentire gli altri detenuti procurarsi del male, non dorme la notte e soffre di enuresi. Nella sua relazione la Dott.Ssa Ciotta, psicologa del Centro, descrive delle condizioni psicologiche preoccupanti: ansia, problemi di insonnia, e successivamente comportamenti autolesivi. Tarhouni è terrorizzato dalle scene di violenza che è costretto a vivere nel Cpr, reagisce con paura irrazionale, si sente solo e abbandonato, e ha sviluppato pensieri persecutori”, ha dichiarato il medico.

Negli ultimi colloqui psicologici effettuati, Aziz Tarhouni era confuso e disorientato parlava a spalle chine, con lo sguardo basso e chiedeva spesso se qualcuno fosse arrabbiato con lui. “Mi sento solo e abbandonato”, ha dichiarato alla dottoressa, e ha raccontato del giorno in cui dei detenuti più grandi l’avrebbero costretto a tagliarsi per fargli avere dei medicinali.
“La Dott.Ssa Ciotta – ha proseguito Cocco – trae da tale quadro delle conclusioni più che comprensibili dal punto di vista clinico: ‘Ritengo che il soggetto non disponga delle risorse e della forza emotiva per reggere a situazioni stressogene e al contesto di reclusione presso il Cpr di Milo’, ha scritto nel suo referto”.
Nonostante ciò la Corte d’Appello di Palermo ha rigettato la domanda di riesame del provvedimento di convalida del trattenimento, richiesta dall’avvocato difensore del giovane, sulla base della valutazione psicologica del Dipartimento di Salute Mentale di Trapani, avvenuta in un primo momento in forma telematica il 28 febbraio e solo successivamente, lo scorso sabato, di presenza.
Secondo il Dottor Vito Sammartano del Dipartimento di Salute Mentale di Trapani: “Appare evidente non essere presente alcun disturbo psichiatrico ‘sensu strictu’, bensì un disagio creato dalle condizioni ambientali: sarà una scelta logistica di Codesta Corte di Appello cercare/proporre una collocazione alternativa del soggetto al fine di risolvere (o quantomeno limitare) il disagio riferito”.
Sostenendo, di fatto, che il giovane sia in condizioni psichiche adeguate a rimanere all’interno del Cpr.
“In precedenza il Dr Sammartano aveva minimizzato e sembrava quasi prendere in giro Tarhouni, dal momento che riferisce che un’altra persona detenuta gli avrebbe fatto del male con un pezzo di vetro, con un tono che denota l'aspetto paternalistico e infantilizzante di tutta la valutazione, volta a sminuire e ridicolizzare le istanze del giovane”, ha denunciato il dottor Cocco, “la stessa categoria aspecifica e non medica di ‘disagio’ sembra avere il solo scopo di ‘de-medicalizzare’ le problematiche riferite dal paziente al fine di normalizzare la sua presenza nel Cpr, cui tra l’altro il Dr Sammartano delega la gestione logistica dei disturbi presentati dal paziente”.
Intanto i giorni passano e le condizioni di salute psichica di Aziz si aggravano ad ogni ora in più spesa dentro le mura di quello che uno dei migranti che lì sono detenuti definisce “una prigione libica, non l’Italia”. Eppure i Cpr non sono in Libia ma dentro le nostre città, ben nascosti nelle periferie, ma pur sempre a pochi chilometri da dove conduciamo le nostre vite. “Il caso di Tarhouni conferma che nei Cpr vengono detenute persone con problemi di salute mentale, nella totale violazione del diritto alla tutela alla salute e dell’art 3 della direttiva Lamorgese. Da tanti anni ormai lavoro con i migranti detenuti nei Cpr, e quello che ho spaventosamente registrato è una vera e propria deriva manicomiale di questi luoghi”, ha detto Cocco.
La Corte d’Appello di Aziz Tarhouni è stata rimandata al prossimo 6 marzo, nella speranza che per lui non sia troppo tardi. “Ho paura – ha concluso l’avvocato Pasqualino – che Aziz possa essere presto il prossimo Ousmane Sylla”.