L’Italia è sotto la media europea nella ricerca: il divario con gli altri Paesi negli investimenti
Un piccolo passo per la ricerca italiana, ma ancora troppo piccolo per avvicinarsi agli standard dei principali Paesi europei. La ripartizione del Fondo ordinario per gli enti e le istituzioni di ricerca (Foe), che fa capo al Ministero dell’università e della ricerca (e quindi firmata dalla ministra Maria Cristina Messa), conferma tutte le buone intenzioni dell’Italia: lo Stato ha messo a disposizione un miliardo e 860 milioni di euro, facendo registrare un aumento di 67 milioni di euro in confronto al 2021. Il punto più alto nell’ultimo decennio. Eppure è solo poco sopra ai livelli del 2012, quando l’investimento era di un miliardo e 792 milioni di euro. Nel tempo la curva era scesa, salvo riprendere a salire dal 2018. Insomma, nessun boom. Solo qualche ritocco verso l’alto. Questo ricorda, per l’ennesima volta, il divario in confronto agli altri Paesi.
Un esempio? Secondo i dati di Eurostat, nel 2020 l’Italia ha speso l’1,53% del Pil in ricerca e sviluppo. La media dell’Unione europea è al 2,32%, quasi lo 0,8 in più rispetto al nostro Paese. Altri esempi? La Svezia, che è in cima alla graduatoria, spende il 3,53% del Prodotto interno lordo sul capitolo della ricerca. Altri paragoni rendono bene il quadro, con la Germania che investe il 3,14%, e la Francia che si attesta al 2,35%. Il livello italiano è inferiore anche a quello di Portogallo e Ungheria e giusto un po’ superiore alla Grecia. Una differenza che si riverbera sul livello salariale: un ricercatore italiano, appena assunto (spesso dopo anni di precariato), percepisce intorno ai 30mila euro lordi all’anno. Una cifra inferiore pure se rapportato a un operaio tedesco. In media la retribuzione di un ricercatore in Germania è superiore ai 52mila euro, in Francia si attesta su circa 49mila euro. Certo, in Italia con gli scatti di carriera è possibile migliorare il salario: si raggiungono i 50mila euro che a Berlino sono il valore medio.
Il Foe destina la gran parte delle risorse al Cnr, come da tradizione. In totale il Consiglio nazionale delle ricerche assorbirà 686.307 euro, un terzo del totale. I progetti straordinari finanziati, come emerge dal testo depositato dalla Camera, sono numerosi e hanno una dotazione specifica di 11 milioni di euro. Tra questi spicca il “virus memory”, ossia la “creazione della biobanca nazionale Covid-19” su cui è prevista una spesa di un milione e 800mila euro. Quasi 3 milioni infine sono previsti per il Tng, acronimo che sta per Telescopio nazionale Galileo. Si tratta, secondo quanto viene riferito, di un “telescopio ottico-infrarosso da 3.6 mt di diametro operato dal 1996 presso l’Osservatorio del Roque de los Muchacos a La Palma (Canarie, Spagna)”.
Il valore in conto capitale è “di circa 40 milioni di euro” e “il continuo upgrade della strumentazione di Tng lo rende oggi uno dei telescopi più efficaci nella ricerca di exo-pianeti, una tematica fra le più prevalenti in campo internazionale”. Tra le curiosità c’è l’investimento di “traduzione del Talmud babilonese” che prevede un esborso di 600mila euro. In materia di finanziamenti, dopo il Cnr, c’è l’Istituto nazionale di fisica nucleare (Infn), a cui spetta 326.697 euro. A chiudere l’ipotetico podio figura l’Istituto nazionale di astrofisica (Inaf), che si prende dal Mur 132.426 euro. A seguire gli altri enti come l’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia (Ingv) con 77.077 euro e l’Istituto nazionale di ricerca metrologica (Inrim) con 28.531 euro.
In confronto agli anni precedenti nelle tabelle del Foe non è presente l’Agenzia spaziale italiana, l’Asi, le cui competenze sono state portate sotto il controllo di Palazzo Chigi. Un passaggio che spalanca le porte su uno dei nodi della ricerca italiana, oltre allo scarso sostegno economico: lo spacchettamento dei finanziamenti. Il Foe è infatti destinato solo agli enti che fanno riferimento al Ministero oggi guidato da Messa, ma ce ne sono tanti altri che invece vengono sostenuti dalle risorse di altri Ministeri e definiti appunto gli enti non vigilati dal Mur.
Tanto per fare un esempio l’Istat è legato al Ministero dell’agricoltura e delle politiche forestali, così come il Crea (Consiglio per la ricerca in agricoltura). L’Iss, assurto alle cronache per il ruolo ricoperto durante la pandemia, ha il Ministero della Salute come punto di riferimento, l’Ispra (Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale) e l’Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l'energia e lo sviluppo economico sostenibile, meglio noto come Enea, che rispondono al Ministero della transizione ecologica. Nel loro caso la dotazione dipende dal ministro di turno.
“Il Ministero dell’Università e della Ricerca, che dovrebbe esercitare per mandato il ruolo di coordinamento nazionale di tutta la ricerca pubblica, universitaria e degli enti, di fatto non può esercitare questo ruolo sugli enti di ricerca vigilati da altri ministeri”, spiega Elvira Serafini, segretario generale Snals-Confsal. “Sosteniamo – aggiunge – da sempre la necessità di un organismo, magari un coordinamento sovraministeriale, che assuma questa governance unitaria”. Oltre che di un investimento più convinto.