Simone De Beauvoir pensava che per descrivere la condizione della donna non c’era metafora migliore che la porta di una casa che si chiude alle sue spalle: «quella sarà tutta la sua parte sulla terra». Oggi può sembrarci una considerazione anacronistica: le donne sono uscite, almeno in parte, dalla sfera domestica, lavorano, partecipano a tutti i livelli della vita pubblica. Ma c’è ancora qualcosa che dà profondamente e atavicamente fastidio in una donna che viaggia, che si allontana troppo da casa sua, specialmente se lo fa da sola, specialmente se si mette nei guai.
In queste ore, Alessia Piperno, travel blogger che è stata arrestata in Iran in circostanze da chiarire, è oggetto di numerosi insulti sui social. Le si rimprovera soprattutto di essersi messa volontariamente in una situazione pericolosa, visto che da settimane l’Iran è scosso da violente proteste contro il regime. Qualcuno allude addirittura a un suo coinvolgimento in attività di spionaggio, come se fosse impossibile trovare altra ragione per la sua permanenza nel Paese. Non sappiamo ancora molto della vicenda, ma sappiamo già che il trattamento che sta subendo Piperno in queste ore non mette gli italiani nella posizione di scandalizzarsi per il sessismo del Medioriente.
Piperno, che ha trent’anni, viene trattata come una ragazzina sprovveduta, nonostante quasi dieci anni di esperienza di viaggi in solitaria alle sue spalle. Non si tratta quindi di una viaggiatrice improvvisata o inesperta, tolto il fatto che anche se lo fosse avrebbe tutto il diritto di essere aiutata e sostenuta dai suoi connazionali. Se una persona dovesse venire protetta solo sulla base del merito, saremmo una società priva di ogni briciolo di umanità. Eppure è questo che emerge dai commenti alla vicenda di Piperno: se l’è cercata, si è cacciata nei pasticci da sola, doveva restarsene a casa sua. E quindi che ora si arrangi.
È strano che commenti del genere provengano dallo stesso contesto sociale che esalta il nomadismo digitale o ha costruito un mito sulla figura di Christopher McCandless, il protagonista di Into The Wild. È strano che la ferocia che si sta scatenando ora contro Piperno non venga riservata a tutti gli altri imprenditori, viaggiatori e giornalisti che vengono rapiti ogni anno all’estero. Dopotutto, anche loro potevano starsene a fare affari a casa loro, visitare le bellezze del Bel Paese o raccontare quello che succede in Italia. Quello che cambia nel caso di Piperno – che ha fatto proprio del viaggio e del suo racconto la sua professione – è che Alessia è una giovane donna che si trovava da sola in un altro Paese. Questo è ciò che è veramente intollerabile per molte persone e che purtroppo, per molte altre, è sufficiente a giustificare la sua detenzione e il proprio lavarsene le mani.
Le parole rivolte ad Alessia Piperno appartengono a un copione già scritto: sono le stesse dette a Silvia Aisha Romano, rapita in Kenya nel 2018 e rilasciata nel 2020; e a Greta Ramelli e Vanessa Marzullo, rapite in Siria nel 2014. La conversione all’Islam di Romano e le foto di Ramelli e Marzullo con il velo accesero ancora di più la rabbia popolare, addossando la colpa dei rispettivi rapimenti non a chi le aveva effettivamente sequestrate, ma a loro, che avevano in qualche modo tradito i “valori Occidentali” solo per aver scelto di andare in quei luoghi. Ed eccoli qui, verrebbe da pensare, i valori Occidentali di cui tanto ci vantiamo: augurare stupri e violenze, dichiararsi indifferenti al destino di persone in pericolo la cui unica colpa è quella di vivere la propria vita liberamente.
Un Paese che fino a due giorni fa lodava a reti unificate il coraggio delle iraniane che si stanno ribellando al regime, oggi è incapace di riconoscere che quella libertà che ci sta tanto cara può assumere anche forme che non condividiamo. È facile esaltare l’emancipazione delle donne quando sono lontane da noi e soggiogate da un nemico che possiamo riconoscere come altro. Ma se di fronte a una donna adulta che viaggia da sola il nostro primo pensiero è che faceva meglio a starsene a casa sua, forse dovremmo rivedere il nostro concetto di libertà. Sembra quasi che, in fondo, ciò che desideriamo davvero per le donne è libertà che si esprime a certe condizioni.
Simone De Beauvoir scriveva che fra le mura di casa la donna era una regina: poteva andare dove voleva e fare quello che voleva, aveva potere sui figli e sulla servitù. Ma una volta chiusa alle sue spalle la porta di casa, ecco che quel potere si esauriva. Per secoli la sottomissione delle donne ha funzionato proprio grazie a questo meccanismo, senza contare che molte donne nemmeno fra le mura domestiche godevano di alcuna autonomia. Ma se non può conquistare lo spazio esterno, se non lo può nemmeno conoscere, nemmeno si renderà conto della sua oppressione. Possiamo convincerci di aver sfondato quella soglia, ma finché una donna che quello spazio lo percorre da sola come e quando vuole ci sembrerà così oltraggiosa, potremo dire di non esserci allontanati di molto dalla via di casa.