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Opinioni

L’impatto sui lavoratori dell’operazione Auchan-Conad e le condanne a MD: cosa è successo

I tribunali di Torino, Busto Arsizio e Lodi, su ricorso dei dipendenti di tre diversi ipermercati, hanno dichiarato illegittima la condotta della società: insieme ai nuovi titolari dei punti vendita, MD dovrà ricollocare i ricorrenti e pagare loro retribuzioni mancate e spese processuali.
A cura di Roberta Covelli
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Sul sito ufficiale campeggia un banner rosso con una scritta bianca per avvertire la clientela, casomai non se ne fosse accorta, che Margherita Distribuzione S.p.A. ha cessato definitivamente le attività nei punti vendita a marchio Auchan e Simply. Dopo trent’anni in Italia, infatti, la catena francese della GDO, la grande distribuzione organizzata, ha deciso di abbandonare il mercato italiano, accordandosi con il gruppo Conad per l’acquisizione del colosso e dei suoi minimarket, supermercati e ipermercati. Dopo diversi mesi dall’annunciata fine delle operazioni, è il caso di ritornare su quelle vicende di mercato per coglierne l’impatto sulle persone, specie su quelle che lavoravano per Auchan e che ora si trovano parcheggiate in Margherita distribuzione, che proprio per questo è stata condannata, in particolare dai tribunali di Torino, Lodi e Busto Arsizio. Ma partiamo dall’inizio.

L’operazione Auchan-Conad: il percorso della società veicolo

Le prime notizie sull’operazione Auchan-Conad sono del maggio 2019, ma è a luglio che si conclude l’accordo, con il passaggio dal colosso francese al consorzio italiano. In realtà l’acquisizione non è diretta, ma coinvolge una società veicolo appositamente costituita, la BDC Italia S.p.A., controllata per il 51% da Conad e per il 49% dalla lussemburghese Pop18, società a responsabilità limitata controllata da Time Life S.A., holding del gruppo WRM, un fondo chiuso di investimenti che si occupa di mercato immobiliare e operazioni aziendali. Spicca nell’operazione l’intervento di Raffaele Mincione, con tanto di foto ricordo alla firma con il patron di Conad, Francesco Pugliese. Ma torniamo alle società: la BDC diventa socio unico di Auchan Italia, e, a fine ottobre 2019, ne cambia il nome, o meglio, la ragione sociale, in Margherita distribuzione.

Le preoccupazioni dei lavoratori, in caso di operazioni simili, sono naturali: l’avvicendamento nella proprietà dell’impresa in cui si è impiegati implica spesso ristrutturazioni aziendali, a cui seguono modifiche ai modelli organizzativi e, molto spesso, licenziamenti collettivi (o espulsioni dei lavoratori tramite incentivi all’esodo). Ma per questa operazione le preoccupazioni risiedono proprio nel modello organizzativo estremamente differente tra i due colossi della grande distribuzione organizzata.

Auchan è un’azienda, Conad un consorzio: le tutele diminuiscono già sulla carta

Auchan e Conad sono sostanzialmente diverse. Mentre la prima aveva in Italia una struttura unitaria, che quindi comprendeva anche una sede amministrativa centrale e una sezione logistica, l’altra è invece un consorzio, il Consorzio Nazionale Dettaglianti. Nel piano Conad questa differenza era sottesa e determinante: i lavoratori della sede Auchan di Rozzano, già all’epoca delle trattative, denunciavano l’interesse di Conad per i soli punti vendita e il sostanziale silenzio della dirigenza sulla sorte dei lavoratori non impiegati nei rapporti col pubblico.

A prescindere dai diversi modelli organizzativi e dalla ristrutturazione aziendale, è la stessa ragione sociale di Conad a essere fonte di preoccupazione per il personale. Conad è infatti un consorzio di cooperative di dettaglianti. Questo significa che i singoli punti vendita sono gestiti da imprenditori, che si avvalgono del marchio Conad e si servono della somministrazione di merci da parte della cooperativa territoriale di dettaglianti a cui sono associati. Queste cooperative sovra-regionali (Pac2000A, Conad Nord Ovest, Commercianti Indipendenti Associati, Conad Centro Nord, Conad Adriatico, Conad Sicilia) sono a loro volta socie del consorzio nazionale Conad, che, oltre a occuparsi della pianificazione strategica del marchio Conad, funge da centrale di acquisto. Per i lavoratori, però, il rapporto non è, come in precedenza, con una grande azienda come Auchan, nei confronti della quale i dipendenti possono coalizzarsi per ottenere migliori condizioni di lavoro (ad esempio tramite la contrattazione collettiva aziendale): con il passaggio a Conad, invece, per i dipendenti il datore di lavoro è l’imprenditore titolare di ciascun punto vendita, che gestisce l’impresa alle proprie condizioni, con una limitazione della forza contrattuale del personale.

Le preoccupazioni per la concorrenza e le cessioni di punti vendita

Se nei confronti della forza lavoro le figure datoriali sono frammentate tra i vari imprenditori che gestiscono i punti vendita, per l’approvvigionamento e la gestione delle merci Conad può invece comportarsi come un unico contraente, e così negoziare e spuntare prezzi e condizioni migliori, ed è in effetti questa la funzione di un consorzio. Rilevando l’intera struttura di Auchan, inoltre, il consorzio di dettaglianti aumenta la propria quota di mercato e così riceve l’attenzione dell’AGCM, l’autorità per la concorrenza. Al termine dell’istruttoria, emerge che la concentrazione derivante dall’operazione Auchan-Conad non porterebbe a una posizione dominante tale da inquinare la concorrenza sul mercato nazionale, anche se rimangono diverse criticità su alcuni mercati locali, che portano l’autorità ad autorizzare l’operazione imponendo però alcune misure, ossia la cessione di diversi punti vendita a operatori terzi.

La proposta di cessione di diversi punti vendita arriva in realtà anche dalla stessa BDC e da Conad, sentite nel corso dell’istruttoria dell’AGCM. Al netto degli omissis del provvedimento, le misure imposte per rispettare la concorrenza corrispondono alla visione di mercato alla base dell’operazione Auchan-Conad, tanto che nello stesso provvedimento AGCM si specifica che tali cessioni "si collocano in un più ampio piano di dismissione di punti vendita acquisiti dalla rete Auchan". E così, in effetti, è avvenuto e sta avvenendo, ma in maniera diversa da come ci si aspetterebbe.

Come dovrebbero funzionare le ristrutturazioni dell’impresa

In Italia, l’iniziativa privata economica è libera. Questo significa che non si può sindacare sulle scelte di un'impresa, pur discutibili o dannose per il tessuto economico, salvo che queste non violino le leggi. Tuttavia, quando le decisioni aziendali superano alcuni requisiti dimensionali, sono previste delle procedure, sia per tentare di conservare i posti di lavoro, sia per cercare di ridurre l’impatto sociale delle scelte dell’impresa. In questo senso si pongono gli interventi del Ministero dello Sviluppo economico, in certi casi, e, più in generale, le previsioni in materia di trasferimenti d'azienda e di licenziamenti collettivi. In particolare, le direttive europee come la normativa nazionale prevedono innanzitutto il diritto di informazione e consultazione delle rappresentanze sindacali, a cui consegue la necessità di effettuare l’esame congiunto della situazione prima di procedere a decisioni definitive (quali, appunto, il trasferimento dell’impresa o i licenziamenti collettivi). Inoltre, qualora si giunga comunque all’esito peggiore, ossia a un numero più o meno ampio di esuberi, si deve provvedere alla scelta dei lavoratori da licenziare secondo i criteri di legge (o, eventualmente, in base all’accordo sindacale derivante dalla procedura di mobilità): l’articolo 5 della legge 223 del 1991 prevede che si debba tener conto congiuntamente dei carichi di famiglia, dell’anzianità (di servizio, ma con valutazioni anche rispetto a quella anagrafica) e delle esigenze tecnico-produttive e organizzative, così da cercare di tutelare i lavoratori che tendenzialmente avrebbero più bisogno di stabilità economica o che avrebbero più difficoltà a ricollocarsi sul mercato.

Trasferimento d’azienda o di ramo, questo è il problema

Conad però agisce diversamente. O, meglio, ad agire diversamente è Margherita Distribuzione. Come abbiamo visto, Margherita Distribuzione è Auchan con un altro nome, un’altra ragione sociale e un’altra compagine societaria, che comprende una società veicolo (BDC Italia) controllata da un consorzio di dettaglianti (Conad) e da un fondo chiuso lussemburghese di investitori immobiliari e aziendali (Pop18, controllata da Time Life, controllata da WRM group). All’indomani dell’operazione Auchan-Conad, tutti i dipendenti del colosso francese sono automaticamente dipendenti di Margherita Distribuzione. E, salvo per la cassa integrazione richiesta per il 60% dei lavoratori nel febbraio 2020 (e la successiva riconversione in cassa integrazione covid), queste persone restano dipendenti dell’impresa, di Margherita Distribuzione, che però prosegue con il suo "ampio piano di dismissione di punti vendita".

In sé, un punto vendita si qualifica come un’azienda, ossia una attività economica organizzata, preesistente al trasferimento, che conserva nel trasferimento una propria identità. In caso di trasferimento d’azienda, si attiva una procedura molto simile a quella prevista per i licenziamenti collettivi, quindi con informazione e consultazione delle rappresentanze sindacali, esame congiunto e, in certi casi, dichiarazione di mobilità (e quindi licenziamento di un numero variabile di dipendenti, secondo i criteri di scelta legali di cui si è detto, quindi tenendo conto di caratteristiche e vulnerabilità dei lavoratori). Ad eccezione degli esuberi emersi durante questa procedura, il trasferimento d’azienda comporta la continuazione di tutti i rapporti di lavoro in capo al cessionario.

Nel caso di Margherita Distribuzione, però, non è così. L’impresa sceglie infatti di effettuare interventi di rimodulazione e frazionamento delle superfici di vendita. E, così, invece di procedere a trasferimenti d’azienda, si limitano a vendere rami d’azienda.

È quel che è avvenuto per l’ipermercato ex Auchan di Torino, in corso Romania, ma anche per quello di Rescaldina, in provincia di Milano, e per quello di San Rocco al Porto, nel lodigiano. E in tutti e tre i casi è arrivata la condanna giudiziaria per Margherita Distribuzione.

Le sentenze di condanna e lo spettro dell’elusione di tutele

Le tre pronunce, rispettivamente dei tribunali di Torino, Busto Arsizio e Lodi, fotografano una stessa pratica da parte di Margherita Distribuzione. La superficie del’ipermercato viene divisa in due: una parte, destinata a essere integrata nel gruppo Conad o ceduta a terzi, dedicata alla vendita di beni alimentari e di beni non alimentari di prima necessità, un’altra costituisce la sezione no food, che l’impresa intende cedere ad altri operatori sul mercato. Nel primo "ramo d’azienda" confluisce soltanto "il personale ritenuto funzionale in termini organizzativi, operativi ed economico-finanziari", per citare la sentenza di Torino, nel secondo resta un numero minore di dipendenti: il punto vendita operativo viene ceduto, la restante parte resta in capo a Margherita Distribuzione, in attesa di compratori che non arrivano.

Ma basta frazionare la superficie di un punto vendita perché si possa procedere a un trasferimento di ramo? Certo che no. Un ramo di azienda è infatti una "articolazione funzionalmente autonoma" di un’azienda, normalmente preesistente al trasferimento. Margherita Distribuzione non solo divide i punti vendita solo nelle fasi di trattativa per la cessione, ma non rende nemmeno funzionalmente autonomi i due rami: la sezione food viene dotata della maggior parte del personale e delle casse, il (presunto) ramo no-food è invece tendenzialmente composto della sola superficie immobiliare e dei lavoratori residui. La divisione di un ipermercato in reparti risponde a esigenze organizzative del punto vendita che non bastano, però, a renderli diversi rami d’azienda: i reparti merceologici non sono "funzionalmente autonomi" rispetto all’azienda, non ci sono sistemi di cassa differenti, non c’è autonomia nelle scelte strategiche, c’è anzi una generale fungibilità e interscambiabilità dei lavoratori impiegati. Questo significa che, come rilevano i giudici delle tre diverse pronunce, e come denunciato dai lavoratori ricorrenti, la scelta dei dipendenti da collocare nell’uno o nell’altro ramo, quello operativo o quello inattivo, è rimessa all’arbitrio dell’impresa, con l’elusione del confronto con i rappresentanti dei lavoratori così come delle tutele previste in caso di licenziamenti collettivi. I lavoratori rimasti in Margherita Distribuzione sono in cassa integrazione a zero ore, per cessazione dell’attività: la cessazione del loro rapporto dipende direttamente dalla cessazione dell’impresa, non appena i vari attori societari decideranno che l’operazione Auchan-Conad si è conclusa.

Intanto, però, dai tribunali arrivano le condanne: se il ramo è fittizio, c’è stato trasferimento di azienda, e dunque tutti i lavoratori (compresi quelli lasciati in Margherita Distribuzione) hanno diritto alla prosecuzione del rapporto in capo ai nuovi titolari dei punti vendita, che sono stati condannati, insieme a Margherita Distribuzione, anche al versamento delle retribuzioni mancate e al pagamento delle spese processuali.

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Nata nel 1992 in provincia di Milano. Si è laureata in giurisprudenza con una tesi su Danilo Dolci e il diritto al lavoro, grazie alla quale ha vinto il premio Angiolino Acquisti Cultura della Pace e il premio Matteotti. Ora è assegnista di ricerca in diritto del lavoro. È autrice dei libri Potere forte. Attualità della nonviolenza (effequ, 2019) e Argomentare è diabolico. Retorica e fallacie nella comunicazione (effequ, 2022).
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