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L’impatto della pandemia sulle disuguaglianze nel mondo del lavoro: giovani e donne i più colpiti

Secondo l’ultimo rapporto Istat-Cnel le misure anti-Covid nel 2020 hanno mitigato il crollo dei redditi, ma non sono comunque riuscite a evitare l’impatto della pandemia sulle disuguaglianza. Giovani e donne sono due categorie più penalizzate che mai.
A cura di Giacomo Andreoli
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Le misure varate dal governo Conte II nel 2020 hanno aiutato più di 10 milioni di famiglie (circa il 41% del totale) e hanno fatto calare la disuguaglianza del 14,1% (con l'indice Gini sul reddito netto al 30,2% invece che al 31.8% potenziale). Ma in quell'anno la pandemia ha allungato il divario dei redditi tra uomini e donne, oltre a quello tra gli adulti e i giovani. Insomma under 35 e donne sono due categorie più penalizzate che mai. A dirlo sono l'Istat e il Cnel in uno studio sulle nuove disuguaglianze prodotte dalla pandemia da Covid-19 nel mondo del lavoro.

I provvedimenti messi in campo dall'esecutivo giallorosso con l'esplodere della pandemia, spiegano gli esperti, «sono stati un utile strumento di contrasto all'ampliamento o al rafforzamento delle disuguaglianze».

Nel primo anno di pandemia, è stato ricordato ieri in audizione alla Commissione Lavoro alla Camera, la povertà assoluta è cresciuta, arrivando a riguardare oltre 2 milioni di famiglie, per un totale di 5,6 milioni di individui (il 9,4%). «Le misure straordinarie tuttavia – aggiungono i tecnici dell'Istituto di statistica – hanno contribuito a ridurre il rischio di povertà dei disoccupati di circa il 6,9%, di 3,5 punti per gli inattivi e di 2,6 punti percentuali per gli autonomi».

Per giovani e donne, invece, si è creata una vera e propria frattura sociale. «Il divario nelle retribuzioni dei giovani– secondo il presidente del Cnel Tiziano Treu- ha raggiunto il 50-60% di quella degli adulti mentre la differenza retributiva per le donne oraria è al 10-12% in meno che su base annua raggiunge il 40%».

Il quadro della povertà con l'avvento del Covid

Nel 2020 la spesa media familiare si è contratta del 9% rispetto al 2019. La contrazione più accentuata dal 1997, anno d'inizio della serie storica dell'Istat. La riduzione è più rimarcata nel Nord del Paese, colpito per primo dal Covid. A causa della riduzione delle risorse economiche, poi, migliaia di famiglie sono scese sotto la soglia della povertà assoluta. Si raggiunge così il maggior livello dal 2005, con oltre 5,6 milioni di persone coinvolte (il 9,4%). Si conferma un'incidenza più alta nel Mezzogiorno, ma l'intensità generale (in pratica quanto i poveri sono poveri) è scesa dal 20,3% al 18,7%.

Le famiglie con minori in povertà assoluta sono quindi oltre 710mila, con 1,3 milioni di individui coinvolti (il 7,5% di italiani). Qui l'intensità è al 21%. Gli stranieri in povertà assoluta sono 1,5 milioni: il 29,3% di tutti quelli presenti in Italia. Il segmento più a rischio della popolazione, cioè quello con reddito inferiore a 8.300 euro, coinvolge ora 3,3 milioni di famiglie e 8,6 milioni di individui, con 2 milioni di minori con meno di 14 anni (uno su 5). Nel 60% di queste famiglie almeno un componente della famiglia ha un lavoro. In particolare, tra questi, sono più di un milione i lavoratori con un contratto a tempo determinato o part time e la maggioranza lavora o ha lavorato nei settori più colpiti dalla pandemia (a partire da turismo, attività commerciali e ristorazione).

«Secondo gli ultimi dati Inapp– aggiunge Treu- il 35% delle nuove assunzioni è part-time tanto che i lavoratori a termine sono cresciuti fino a 3.077.000 (dic. 2021). È cresciuto ulteriormente il divario Nord-Sud su tutti gli indicatori (redditi, scolarità, salute, PIL, qualità della vita) e sono aumentati i divari fra settori lavorativi: a differenza di altre crisi sono più colpiti i settori ad alta intensità di relazioni personali (turismo, alberghi, ristorazione, servizi, in particolare di cura)».

«Anche sulla cassa integrazione, che è stata usata molto bene durante la pandemia– conclude il presidente del Cnel- sono emerse disuguaglianze, ad esempio con i lavoratori autonomi e atipici perché è un istituto creato per un altro tempo. Durante la pandemia è emersa la vulnerabilità sociale dei professionisti, tra le categorie lavorative più colpite. Inoltre, è emerso come le professioni hanno diversi gradi di vulnerabilità che non sono stati considerati storicamente. Le disuguaglianze sono anche tra impresa e impresa appartenenti agli stessi settori in relazione al diverso grado di esposizione al rischio».

Le misure del governo Conte II

Le misure del governo Conte II sono riuscite a mitigare la caduta dei redditi. «C'è stato– secondo i tecnici di Istat e Cnel- un intervento flessibile, rafforzando le misure preesistenti e dall'altro mettendone di nuove, come le indennità di 600 e 1000 euro. Questo elemento è stato importante, perché ha permesso di raggiungere un grande numero di famiglie, contrastando la povertà. Il maggiore impatto delle misure ha riguardato il sostegno al mercato del lavoro e a favore delle famiglie più vulnerabili. In questo modo rafforzamento delle disuguaglianze è stato mitigato dall'intervento del governo».

L'effetto redistributivo delle politiche del governo è maggiore nel Mezzogiorno ,del resto lì è più alta la disuguaglianza in partenza. In particolare, poi, Reddito di emergenza e bonus colf, assieme a Reddito di cittadinanza e cig, hanno ridotto il rischio di povertà dal 16,2% potenziale al 9,1%.

Pandemia, donne e lavoro: il calo dei redditi

Secondo l'ex presidente dell'Inps, Tito Boeri, che ha partecipato alla scrittura del report, «la perdita occupazionale è stata evidentemente più forte per le donne. Questo perché la crisi ha colpito molto più i servizi che l'industria e lì la presenza delle donne è più elevata. Inoltre le donne hanno contratti a tempo determinato più degli uomini e c'è stata una flessione del 10-15% di questi contratti, mentre quelli stabili sono rimasti fissi».

«C'è stata poi – aggiunge- la scelta o la necessità delle donne di rimanere a casa a badare ai figli rimasti in Dad con la chiusura delle scuole. Le madri sono state particolarmente penalizzate sul mercato del lavoro rispetto alle altre donne e ai padri. I congedi e i bonus erano stati attivati per aiutare le famiglie, ma non sono stati sufficienti a contenere il declino della partecipazione delle donne al mercato del lavoro e il declino dei loro stipendi. Bonus e congedi sono stati infatti fruiti in modo disomogeneo. Dei congedi, in particolare, hanno usufruito soprattutto le madri in imprese di medio-grandi dimensioni, mentre la maggior parte lavorano in piccole-medie».

Gli effetti della pandemia sugli studenti

La disoccupazione dei giovani durante la pandemia ha raggiunto il 33%, per scendere poi al 26,8% solo dicembre 2021. E per quanto riguarda gli studenti il report Istat-Cnel sottolinea un effetto sul processo di apprendimento fortissimo. Si riporta infatti l'ultima rilevazione Invalsi, che evidenzia un peggioramento consistente nell'apprendimento di matematica e italiano. Questo è avvenuto per lo più per scuole medie e superiori.

Regioni come la Campania, che hanno chiuso le scuole per più tempo, hanno poi registrato i livelli di peggioramento nell'apprendimento più intensi. Ogni 10 giorni di chiusura circa si sono persi 0,2 punti Invalsi in matematica.

Il problema dell'indice di disuguaglianza utilizzato dall'Istat

Uno degli indici utilizzati dall'Istat, il cosiddetto Gini, è da tempo oggetto di critiche in ambito accademico. Viene usato anche dalla Banca mondiale, dunque non si tratta di un eventuale problema solo italiano, ma studiosi del calibro dell'economista e storico francese Thomas Picketty lo hanno definito "fuorviante".

In particolare l'economists spiega che l'indicatore ha la pretesa di riassumere in un unico numero la disuguaglianza della distribuzione delle risorse, senza analizzare i rapporti cosiddetti "relativi": cioè tra poveri e classe media, tra classe media e ricchi e tra poveri e privilegiati. Inoltre il coefficiente tenderebbe a confondere la disuguaglianza da reddito da lavoro con quella da capitale (cioè derivata da differenze di patrimonio o eredità).

All'indice Gini, dunque, numerosi economisti preferiscono tabelle di distribuzione che meglio evidenziano le differenze tra classi socio-economiche e identificano in maniera davvero accurata i cambiamenti nella distribuzione della ricchezza. Grazie a questo metodo di studio si possono elaborare modelli più precisi per possibili misure di politica fiscale.

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