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Licenziamenti dei pubblici dipendenti in 48 ore? La strada è tutta in salita

Sei anni dopo l’approvazione, la riforma Brunetta è un mezzo flop. Licenziare un impiegato pubblico resta molto difficile e, nonostante gli annunci di Matteo Renzi, potrebbe esserlo anche in futuro.
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Sei anni dopo la sua approvazione da parte del Parlamento, la riforma della pubblica amministrazione nota come “legge Brunetta”, dal cognome di uno dei maggiorenti di Forza Italia, resta lettera morta in molti dei suoi punti. Sul licenziamento dei cosiddetti “fannulloni”, in particolare, le cose non sono poi cambiate granchè negli anni. La riforma Brunetta stabiliva in maniera tassativa i motivi di licenziamento: l’assenteismo, il rifiuto ad un trasferimento di ufficio, false dichiarazioni presentate al momento dell’assunzione, condotte aggressive o minacciose nei confronti di colleghi o superiori, condanne penali definitive. Tutte previsioni che già esistevano nei contratti collettivi prima ancora di Brunetta, ma che il ministro, mettendosi una medaglia sul petto, fece diventare legge dello Stato.

Se la riforma del 2009 è tornata alla ribalta mediatica, quando ormai un po’ tutti se ne erano dimenticati per gli scarsi risultati conseguiti, è perché il premier Matteo Renzi, qualche giorno fa, aveva pubblicamente annunciato che presto sarà possibile licenziare i “fannulloni” in appena 48 ore. Brunetta ed il centrodestra avevano subito levato gli scudi rivendicando di che la cosa è già possibile e le leggi lo consentono grazie alle decisioni prese durante l’ultimo governo Berlusconi. Ovviamente non è così: alzi la mano chi ha mai visto o anche solo sentito parlare di un dipendente pubblico licenziato due giorni dopo dopo essere stato beccato in flagranza di reato fuori dal proprio ufficio in orario di lavoro, mentre sorseggiava un caffè al bar o era interno a fare la spesa. D’altronde, i dati ufficiali parlano di qualche decina di licenziamento dalla pubblica amministrazione all’anno o poco più.

Sembra anche difficile, in realtà, che una pubblica amministrazione licenzi qualcuno in 48 ore dopo l’arresto: in genere la Prefettura del luogo, avvisata dall’autorità giudiziaria, ci mette due giorni solo per notificare all’Ente che un dipendente è stato sottoposto ad un provvedimento di arresto. Dopodichè, l’Ente deve far partire il procedimento di sospensione dal servizio del dipendente: si tratta di una procedura obbligatoria, finchè il lavoratore pubblico è in galera o a casa a scontare gli arresti domiciliari in via cautelare. Contestualmente va aperto un procedimento disciplinare. Anche qui, l’ente deve convocare una apposita commissione che “incrimina” il dipendente e poi sospende subito il provvedimento. La sanzione arriverà se e quando il lavoratore sarà condannato dai magistrati. In tutta Italia ci sono centinaia di procedimenti disciplinari sospesi, con i lavoratori che continuano a lavorare e a percepire lo stipendio, e che avranno una sanzione solo al termine del loro processo. Va da sé che la sanzione più grave è quella del licenziamento, a cui si arriva in un numero ridottissimo di casi solo se c’è condanna in Cassazione.

D’altronde, chi si prende, oggi, la briga di licenziare un dipendente pubblico senza che prima si sia espresso un magistrato? Già, perché se poi il dipendente licenziato viene assolto dal giudice a distanza di anni, non solo ha diritto al reintegro nel posto di lavoro, ma anche al pagamento di tutti gli stipendi che non ha potuto ricevere e ad un cospicuo risarcimento dei danni morali, biologici, di immagine. L’ente pubblico, a sua volta, potrebbe rivalersi sull’organismo che ha deciso per il licenziamento. La Corte dei Conti, da parte sua, potrebbe stabilire che c'è un danno erariale. Perché mai qualche amministratore o dirigente dovrebbe prendersi questa responsabilità, rischiando in proprio? E se poi va tutto in prescrizione, come è successo di recente a Portici, vicino Napoli? Indagine sull’assenteismo al municipio iniziata nel 2007; una quarantina di arresti nel 2000; diciannove udienze senza mai entrare nel merito delle questioni; sei giudici cambiati; difetti di notifica a iosa. Così, i fannulloni si sono salvati e nessuno potrà permettersi di buttarli fuori dal Comune.

Caso più unico che raro, verosimilmente sotto il peso della pressione mediatica, nelle scorse ore, il sindaco di Sanremo ha firmato alcuni provvedimenti di licenziamento per dipendenti assenteisti: appena quattro su quarantatré persone che hanno avuto dalla magistratura provvedimenti di limitazione della libertà personale, non 48 ore, ma ben tre mesi fa. E’ evidente che il Comune ha deciso di mettere alla porta solo quei dipedenti per cui esistono prove schiaccianti riguardo la loro colpevolezza, tanto per stare sicuri.

Su altri aspetti della riforma Brunetta, pure è meglio stendere un velo pietoso. Nel 2009 divenne obbligatorio, per il personale a contatto con il pubblico, indossare un cartellino identificativo ed esporre sulla scrivania una targa indicante nome e cognome. Qualche caso virtuoso c’è, sei anni dopo, ma si tratta di minoranze. Erano poi previsti dei nuovi meccanismi di incentivazione economica per premiare i dipendenti più virtuosi sulla base delle valutazioni dei dirigenti: alcune interpretazioni giudiziare, la giurisprudenza e le resistenze dei sindacati hanno praticamente reso inefficace questa norma ed i premi di produttività continuano, quasi dappertutto, ad essere assegnati a pioggia.

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