L’ex commissario Arcuri parla in commissione Covid: cosa ha detto nell’audizione-fiume di sei ore
Era uno degli appuntamenti più attesi per la commissione d'inchiesta sul Covid: l'audizione del commissario straordinario per l'attuazione e il coordinamento delle misure di contenimento e contrasto dell'emergenza Covid -19, Domenico Arcuri. Il 61enne, che dal 18 marzo 2020 al 1° marzo 2021 guidò la risposta italiana alla pandemia, è stato tenuto al tavolo delle audizioni per oltre sei ore: dalle 11 di mattina fino alle 17, con una sola brevissima interruzione. Nonostante le proteste dell'opposizione che chiedevano di sospendere i lavori e che sono state accusate di ostruzionismo da Fratelli d'Italia. In serata, dalle 20 in poi, il colloquio è ripreso.
Arcuri è stato interrogato soprattutto sul caso mascherine. In quanto commissario per l'emergenza, il funzionario si era occupato anche di procurare i dispostivi di sicurezza necessari all'Italia – inclusa una grande quantità di mascherine. Dopo la fase più intensa della pandemia era poi nata una disputa legale con l'azienda Jc-Electronics: per un periodo era stata tra le fornitrici di mascherine, ma poi il suo contratto era stato revocato ed erano state scelte altre aziende. L'amministratore di Jc aveva poi accusato Arcuri, proprio in un'audizione davanti alla commissione Covid, di aver deciso il cambio per favorire delle forniture cinesi di scarsa qualità.
L'inizio della pandemia: "Non avevamo nulla"
Il commissario ha ricordato che il 18 marzo del 2020, quando entrò in carica, "non avevamo nulla, se non la consapevolezza della tragedia e la necessità di attrezzarci il prima possibile". Tra i momenti più drammatici ci furono le immagini dei camion di Bergamo, che trasportavano i morti perché il cimitero della città non aveva più spazio. Arcuri ha sottolineato che nella fase iniziale "non c'era una azienda che producesse dpi, nessuna azienda che producesse ventilatori, tranne una di Bologna".
Per i primi mesi, i più duri della pandemia, è stato necessario perciò fare anche ricorso ad aziende straniere per la fornitura. Dal luglio 2020 invece, Arcuri ha specificato, "la Struttura commissariale non ha mai acquistato mascherine dall'estero, si è rifornita con produzione propria e con la filiera italiana che intanto era nata".
Parlando del caso della Jc-Electronics, il commissario ha sottolineato che "sulla vicenda è "in corso un procedimento giudiziario che dalla settimana scorsa non riguarda me ma altri dieci cittadini italiani". Infatti, l'azienda ha già ottenuto in primo grado un risarcimento da oltre 203 milioni di euro nei confronti dello Stato italiano per annullamento illegittimo di contratto. Ma pochi giorni fa Arcuri, che era coinvolto con l'accusa di abuso d'ufficio, è stato assolto perché il reato non esiste più.
La risposta sul caso mascherine: "Mi assumo totale responsabilità"
Sempre parlando di mascherine, l'ex commissario si è difeso da chi gli chiedeva se fosse a conoscenza del fatto che alcuni dei dispositivi acquistati non erano idonei: "È di difficile sostenibilità la tesi che Arcuri sapesse a marzo del 2020 che le mascherine che sono state sequestrate a febbraio del 2021 e poi dissequestrate non erano buone, ma della gravità di queste affermazioni se ne occuperanno altri in altre sedi". Era stato l'ad di Jc-Electronics, Dario Bianchi, a dire in audizione: "(Arcuri) sapeva che le mascherine erano non conformi, che avevano un certificato CE falso, e che a Gorizia le avevano sequestrate".
Per di più, sempre rispondendo a queste parole, Arcuri ha ricordato "una cosa semplice, banale: le mascherine prodotte in Cina il certificato CE non ce l'hanno, quindi come si fa a sostenere che il certificato CE delle mascherine era falso? In Cina CE non sanno nemmeno cosa significa".
Ancora sul caso Jc, Arcuri ha sottolineato che in quel periodo la Struttura commissariale aveva firmato "quaranta contratti" per la fornitura di "nove miliardi di mascherine". L'ex commissario ha detto di non essersi "mai occupato direttamente" dell'acquisto di mascherine, ma si è comunque assunto "totale responsabilità dell'andamento di questa vicenda, come credo debba fare qualsiasi funzionario pubblico chiamato a esercitare una qualche responsabilità". E ha detto che l'annullamento sarebbe stato dovuto al diritto di recesso, dopo che erano stati consegnati alcuni lotti non a norma.
"Mai parlato con Conte delle mascherine, non c'era tempo"
Infine, Arcuri ha detto di non essersi confrontato con l'allora presidente del Consiglio Conte – presente in aula durante l'audizione – sulla vicenda. "Purtroppo io non ho mai parlato con il presidente del Consiglio né di acquisti, né di forniture, né di Jc, né di Cina, né di Bielorussia, né di Basilicata.
"Pensare che il presidente del Consiglio e il commissario dell'emergenza interloquissero su questo o su ogni altra fornitura significa continuare ad offendere quella stagione, il dramma che il presidente del Consiglio, il commissario all'emergenza e quanti altri vivevano in quelle ore, l'ansia della mancanza del tempo che non avevano, lo sforzo di rispondere a problemi nuovi e sconosciuti", ha aggiunto.
"Il presidente del Consiglio", ha concluso Arcuri, "così come gli altri ministri coinvolti, mi chiamavano ogni alcuni minuti con la comprensibile ansia di quei giorni che solo chi ha vissuto può conoscere e chi non ha vissuto dovrebbe rispettare, solo per accertarsi che io e miei collaboratori stessimo facendo tutto il possibile, e qualche volta anche di più, per fare arrivare in Italia i dispositivi e le attrezzature necessarie a fronteggiare quella tragedia, che non avevamo".