“Dobbiamo cambiare la normativa e rendere i porti libici sicuri. C’è questa ipocrisia di fondo in Europa in base alla quale si danno soldi ai libici, si forniscono le motovedette e si addestra la Guardia Costiera ma poi si ritiene la Libia un porto non sicuro". Il Ministro dell'Interno Matteo Salvini contesta la posizione dell'Europa e chiede che la Libia venga considerato porto sicuro. L'Europa ha già detto il suo no. Sul tema abbiamo sentito Elly Schlein, parlamentare europea per Possibile e relatrice per il gruppo dei Socialisti e democratici al Parlamento europeo per la riforma del sistema di Dublino.
Onorevole Schlein, si può considerare la Libia "sicura"?
La Libia non può essere considerato un porto sicuro secondo il diritto internazionale perché non ha i requisiti. Deve trattarsi di un luogo dove l’incolumità delle persone salvate non sia a rischio, né siano esposti a persecuzioni o minacce, e dove siano garantite l’assistenza necessaria e la possibilità di presentare domanda d’asilo. Peraltro la Libia non ha mai firmato la Convenzione di Ginevra sui rifugiati del 1951, quindi ai sensi della Direttiva europea sulle Procedure le mancano tutti i requisiti per essere considerata un Paese terzo sicuro ai sensi del diritto europeo. Salvini, in pieno delirio di onnipotenza, cerca di sostituirsi anche all’autorità giudiziaria italiana, che in maggio, respingendo il ricorso contro il dissequestro della nave della ONG Proactiva Open Arms aveva stabilito che la Libia non è considerabile un porto sicuro secondo gli standard internazionali. Anche l’UNHCR ritiene che la Libia non soddisfi i criteri per essere designata come luogo sicuro per lo sbarco in seguito a salvataggi in mare, per via delle precarie condizioni di sicurezza. Del resto la detenzione dei migranti in Libia è sistematica e numerosi media internazionali hanno testimoniato che in quei centri si verificano quotidianamente torture, vendita di schiavi e violazioni dei diritti umani.Cosa intenda Salvini quando dice che dovrà “risolverla da solo” è facilmente intuibile: mettere in atto dei respingimenti collettivi verso la Libia che violano il diritto internazionale ed europeo, procurando all’Italia una condanna dalla Corte di Strasburgo come già fece il suo predecessore Maroni nel caso Hirsi. Anche il rifiuto di accesso ai porti italiani si pone in violazione con la Convenzione europea sui diritti dell’uomo se le persone a bordo hanno bisogno di cure urgenti e se il rifiuto impedisce un esame individuale della loro situazione, configurando un respingimento collettivo.
Non c'è una certa divergenza d'azione tra Conte e Salvini?
Esatto, sembra che in Italia ci siano due governi. Mentre Salvini ad Innsbruck, al vertice informale dei ministri dell’Interno Ue, ha detto che riformare Dublino non è una priorità, lo stesso giorno a Bruxelles il presidente Conte, al termine del vertice Nato, ha confermato finalmente che il Governo italiano non può che sostenere la riforma di Dublino approvata dal Parlamento europeo. Salvini pare più interessato ad ingraziarsi i nazionalisti del resto d’Europa che a difendere gli interessi italiani su questo tema. Ma a meno che non pensi di poter risolvere guerre, fame e cambiamenti climatici dall’oggi al domani, le persone continueranno ad arrivare e, senza la riforma di Dublino, continueranno a rimanere bloccate in Italia. Non c’è soluzione che non passi dalla solidarietà europea e, quindi, dalla riforma di quel Regolamento ingiusto.
Quali possono essere le soluzioni a breve termine?
Salvare le vite è un obbligo giuridico e morale, il punto non è dove sbarcano, ma assicurare accoglienza degna e condivisione delle responsabilità a livello europeo. Il tema migratorio è complesso e richiede risposte di breve, di medio e di lungo termine. Sul breve, questa becera guerra alle ONG è fumo negli occhi per nascondere la verità: stanno sopperendo alla grave mancanza di una missione umanitaria europea di ricerca e soccorso in mare, perché quelle in campo (Triton e Sophia) non hanno un chiaro mandato umanitario e nemmeno mezzi sufficienti. Sul medio è fondamentale superare l’ipocrisia del Regolamento di Dublino nella direzione già indicata da due terzi del Parlamento europeo, sostituendo il criterio del primo paese di approdo con un ricollocamento obbligatorio in tutti i Paesi UE che valorizzi i legami significativi dei richiedenti asilo. Ma bisogna anche aprire vie legali e sicure per l’accesso a tutti i Paesi UE, unico modo per combattere i trafficanti di esseri umani ed evitare che Italia, Spagna e Grecia rimangano l’unico punto di accesso a un intero continente.
E per il futuro?
Servono invece politiche europee più coerenti per agire sulle cause profonde dei flussi (conflitti, cambiamenti climatici e diseguaglianze): politiche estere e migratorie più lungimiranti, politiche del commercio e fiscali più eque, e politiche della cooperazione più finanziate ed efficaci. Altrimenti togliamo con una mano quello che diamo con l’altra, e non stiamo certo contribuendo a risolvere conflitti (per cui sarebbe necessario anche smetterla di vendere armi a tutto spiano) né a creare opportunità per i giovani africani.