Elezioni europee 2024

L’eurodeputato Danti: “C’è bisogno degli Stati Uniti d’Europa, non di tornare alle piccole patrie”

“L’Europa deve essere più forte, più unita e più politica. Gli Stati Uniti d’Europa sono un sogno, ma che si traduce in un progetto concreto”: lo dice in un’intervista con Fanpage.it l’eurodeputato di Italia Viva, Nicola Danti, parlando delle priorità in vista delle prossime elezioni europee.
A cura di Annalisa Girardi
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Alle prossime elezioni europee si scontreranno una visione sovranista, quella dell'Europa delle Nazioni, e una nettamente europeista, quella per gli Stati Uniti d'Europa. Quest'ultimo è anche il nome della lista formata da partiti come Italia Viva e +Europa. Abbiamo fatto il punto su cosa c'è in gioco con l'eurodeputato renziano Nicola Danti, membro del gruppo Renew.

Ci avviciniamo alle elezioni europee, al termine di una legislatura difficile, tra pandemia, guerra e crisi economica. Ci può fare un bilancio?

L'Europa che esce da questa legislatura è più forte. Ma non è detto che sia l'Europa capace di affrontare le sfide che abbiamo davanti. È stata una legislatura complicata, nessuno avrebbe mai pensato di avere a che fare con la pandemia o con una guerra a poche centinaia di chilometri dai confini dell'Europa. La risposta dell'Ue  a queste grandi crisi è stata molto positiva, però non basterà per affrontare quelle del mondo complicato in cui viviamo oggi e quindi abbiamo bisogno di spingere ancora avanti il progetto europeo.

Italia Viva fa parte della lista per gli Stati Uniti d'Europa. Se n'è parlato a lungo, per decenni degli Stati Uniti d'Europa: è un sogno, un'ambizione o un progetto concreto?

È un sogno che si traduce in un progetto concreto. È chiaro che parliamo di una visione a lunghissimo periodo, però tutto ciò che abbiamo fatto – dai primi trattati degli anni Cinquanta a oggi – ha visto progressivamente l'Europa affermarsi sempre più. Sappiamo però che di fronte al mondo così come è oggi – di fronte a Paesi e aree geografiche che  hanno miliardi di persone e che sono molto più giovani e competitivi – l'Europa deve essere più forte, più unita e più capace di rispondere, quindi è più federale. E anche più politica, uno dei temi di cui non si discute. In questo senso, è un sogno, ma si traduce in un progetto concreto perché i deputati saranno eletti della lista Stati Uniti d'Europa andranno lì per questo, per riaffermare sempre di più una sovranità europea.

Da un lato gli Stati Uniti d'Europa, dall'altro l'Europa delle Nazioni, per cui propendono le forze politiche più conservatrici. Sono due idee agli antipodi, quali sono le conseguenze concrete dell'andare nell'una o nell'altra direzione?

Quando ci sono due sovrani in una stanza vince sempre quello più ricco. Mediamente direi che tra un sovranista italiano e uno olandese vince sempre l'olandese, per fare un esempio di sovranisti importanti in questo momento in Europa. Oggi noi abbiamo bisogno oggi di avere un'Europa che difende la propria sovranità nazionale nell'ambito di una sovranità europea: c'è chi pensa di ritornare alle piccole patrie, ma le piccole patrie non hanno funzionato nei secoli scorsi quando le dimensioni del mondo erano più piccole, non c'era un mondo globalizzato come oggi. L'Europa rappresenta il  7% della popolazione globale e il 25% di Pil, ha una popolazione che investe nei servizi sociali, nello stato sociale, per il 60% di risorse globali. Come facciamo a difendere tutto questo se non c'è la capacità di stare uniti insieme e di avere un progetto comune?

Quali sono le priorità della vostra lista?

Abbiamo bisogno di fare alcune cose importanti. Per prima, la riforma dei Trattati, perché l'Europa che è stata disegnata dai Trattati è un'Europa che funzionava malino quando erano 15 Stati, figuriamoci ora che siamo 27 e probabilmente ci apprestiamo nei prossimi anni a essere più di 30, perché ci sono Stati che giustamente ambiscono a essere parte. Lo dico con una certa commozione, pensando alle immagini di questi giorni dalla Georgia: quando si vedono le persone che sventolano la bandiera europea per affermare un senso di libertà, si capisce quanto l'Europa sia importante.

Inoltre abbiamo bisogno di investire nella nostra autonomia strategica. Questo significa essere più autonomi da un punto di vista militare: non siamo in grado di difenderci senza la Nato, questo deve essere un tema all'ordine del giorno per l'Europa. E abbiamo bisogno di essere autonomi da un punto di vista energetico. Non lo siamo, dipendiamo dal resto del mondo e abbiamo visto cosa questo significhi appena è scoppiata la guerra in Russia.

Infine, abbiamo bisogno di essere nuovamente un partner globale e quindi avere una politica estera, come Europa, capace di intervenire e di essere presente nelle grandi crisi – così come nelle grandi opportunità – che il mondo presenta.

A proposito di politica estera, ci sono scenari di tensione importanti, ma la percezione è che l'Europa non sia protagonista…

Bisogna cambiare i Trattati: la politica estera dell'Ue non è una politica davvero europea, ma una politica nazionale con un coordinamento a livello europeo. Questo significa che nessuno è in grado di prendere decisioni per tutti. Lo abbiamo visto, ad esempio, alle Nazioni Unite: molte volte l'Europa è divisa, si vota in tre modi diversi tra favorevoli, astenuti e contrari. Abbiamo bisogno di cambiare i Trattati per arrivare ad avere una voce comune, oggi non ci sono gli strumenti giuridici per far sì che l'Europa abbia una voce sola. E abbiamo bisogno che la politica entri dentro queste dinamiche. Io penso che questa sia la sfida della prossima legislatura.

Pensa ad esempio ad abolire il diritto di veto dei singoli Stati?

Il potere di veto è primo elemento: finché chiunque  può mettere in discussione la volontà di tutti non si riescono a prendere le decisioni. L'abbiamo visto con la guerra in Ucraina: l'Ungheria ha messo il veto sulle sanzioni, sulla fornitura degli aiuti. È stato necessario chiudere Viktor Orban in una stanza i leader europei per convincerlo e forse fargli anche qualche concessione sui finanziamenti,  che non era giusto fare a uno Stato che non rispetta le regole dello Stato di diritto europeo.

Uno dei temi principali della legislatura è stato la transizione verde. Le posizioni politiche dei gruppi, rispetto a questo, sembrano essere un po' cambiate negli anni: qual è la vostra?

Il Green Deal è stata una sfida che è partita come una grande sfida ambientale. Ci siamo resi conto durante la legislatura, soprattutto con la guerra in Ucraina, che oltre alla grande sfida ambientale ce n'è una che riguarda l'autonomia strategica. La transizione energetica è necessaria anche perché non siamo indipendenti e dipendiamo tutto dalle energie fossili che stanno dall'altra parte del mondo.

Rispetto all'approccio della Commissione, il Parlamento e il Consiglio hanno adottato testi legislativi un po' meno ambiziosi e un po' più realisti. Forse abbiamo esagerato in alcune scelte fatte. Penso ad esempio alla questione delle auto elettriche: abbiamo fatto una scelta sbagliata che attiene al non rispetto della neutralità tecnologica, cioè al fatto che si sia assunta una tecnologia come unica, non dando la possibilità di mixare per ottenere gli stessi obiettivi. Io credo che nella prossima legislatura dovremmo verificare le scelte fatte e se c'è da correggere, dobbiamo correggere alcune cose. Però c'è un punto da tenere presente: dobbiamo accompagnare questa transizione con le risorse necessarie, perché non possiamo pensare che le aziende chiudano per aprire altrove nel mondo. Non ha senso smettere di immettere CO2 in Europa, se poi la si emette in Cina. Abbiamo bisogno di accompagnare le nostre aziende, a cui chiediamo molto in termini ambientali, con le risorse per gestire bene la transizione e per far sì che alla fine di questo percorso le nostre aziende siano le più competitive a livello globale. È un'opportunità, però bisogna avere il coraggio di dire che servono le risorse. Quindi serve anche un bilancio europeo che possa mettere a disposizione queste risorse, per non lasciare gli Stati membri con quelle nazionali. Altrimenti chi ha le risorse può sostenere il proprio sistema produttivo, chi non ce le ha – come l'Italia – rischierebbe il default.

C'è poi la transizione digitale. Il Parlamento europeo è stato protagonista in questo senso, ma gli Stati sono pronti al cambiamento?

È complicato. Perché quando noi legiferiamo sul digitale facciamo cose molto importanti e cerchiamo di essere i primi al mondo a regolare qualcosa che è in evoluzione continua. Però abbiamo una serie di principi a cui ci atteniamo, a partire dal regolamento sulla privacy e dal digital single market. Tutti gli atti che abbiamo fatto sul digitale sono per la tutela dei consumatori, della democrazia e dei valori europei. Dall'altra parte cerchiamo di non bloccare l'innovazionte tecnologica.

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