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Covid 19

L’esercito nelle strade contro il coronavirus non è per forza una buona idea

Si fa sempre più forte la richiesta di mobilitare l’esercito contro il coronavirus, in modo particolare per far rispettare le direttive del governo in merito alle misure di contenimento dell’epidemia. La questione è però ben più complessa di come potrebbe sembrare e sono molte le problematiche a essa connesse: proviamo a ragionarci un po’.
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Contro il coronavirus serve l’esercito. È questo il mantra che da qualche giorno è entrato a far parte del dibattito pubblico, in particolare dopo le misure di contenimento dell’epidemia impostate dal governo con i due Dpcm validi per l’intero territorio nazionale. La questione è di una certa complessità, soprattutto perché sulla valutazione dei pro e dei contro rischia di giocare un ruolo preponderante l’aspetto emozionale, la percezione individuale del mancato rispetto delle indicazioni del governo, la sensazione che permanga una certa ritrosia nell’applicare un concetto chiarissimo: dovete stare a casa, salvo casi di estrema necessità. Invece, occorrerebbero cautela, lucidità e serietà quando si tira in ballo l’ipotesi di ampliare i poteri delle forze armate e si prospetta lo scenario dei blindati nelle strade, del coprifuoco militare e della limitazione “forzata” delle libertà individuali.

L'invito a ricorrere all'esercito per operare una stretta decisa sulle misure di contenimento, sul modello di quanto fatto dai cinesi prima a Wuhan poi nell'intero Hubei e in altre aree in lockdown, arriva da diversi esponenti della politica e non solo. La presa di posizione più netta è arrivata dal governatore della Regione Campania Vincenzo De Luca, da giorni il più deciso nel chiedere (ed emanare) misure drastiche per il contenimento dei contagi: "Le misure adottate, a tutta evidenza, non possono rivelarsi efficaci se non vengono garantiti capillari controlli e se non si irrogano le necessarie sanzioni nei confronti di comportamenti gravemente irresponsabili. Si chiede, per tali ragioni, un impegno straordinario delle Forze dell'Ordine e la presenza dell’Esercito, quali misure ormai indispensabili in funzione della dissuasione degli assembramenti, della mobilità ingiustificata, di forme illegittime di ambulantato sul territorio". La tesi di De Luca è quella standard: le persone non capiscono che devono stare a casa, occorre dunque dunque utilizzare la leva della repressione per dissuadere i cittadini dai comportamenti dannosi per loro e per gli altri. L'esercito, dunque, può garantire un controllo del territorio più capillare e rappresenta una risorsa necessaria per far rispettare le indicazioni dei Dpcm. È davvero così semplice?

Andiamo con ordine, partendo da quello che c’è già. Nelle zone rosse l'esercito ha accompagnato polizia e polizia locale nei vari posti di blocco, fino alla cessata esigenza e alla "fine" della quarantena per il lodigiano e Vo'. L’emanazione del Dpcm con cui si creava un’unica zona “protetta” coincidente con l’intero territorio nazionale ha poi introdotto in qualche modo la questione cruciale, stabilendo che "il Prefetto, informando preventivamente il Ministro dell’Interno, assicura l’esecuzione delle misure avvalendosi delle forze di polizia e, ove occorra, delle forze armate, sentiti i competenti comandi territoriali". E una circolare successiva del Viminale, richiamando già il decreto del 3 marzo, ha ribadito che "al personale delle forze armate impiegate, previo provvedimento del prefetto competente, per assicurare l'esecuzione delle misure di contenimento è attribuita la qualifica di agente di pubblica sicurezza". È la formula chiave: i militari impegnati diventano agenti di pubblica sicurezza.

Impiegare i militari per il mantenimento dell’ordine e della sicurezza pubblica in tempo di pace è scelta molto controversa, che ha animato vivaci discussioni tra costituzionalisti ed esperti di diritto. Come riporta un approfondimento di Caffio su AnalisiDifesa, “il testo unico delle leggi di pubblica sicurezza (R.D. 18 giugno 1931, n. 773) contempla tuttora agli artt. 214 e 217 l’ipotesi che, sussistendo uno stato di pericolo pubblico, il governo possa affidare la tutela dell’ordine pubblico all’autorità militare, previa eventuale dichiarazione dello stato di guerra”, in una situazione che però presuppone la sospensione delle garanzie costituzionali. Al momento, siamo in presenza di un quadro diverso, che sembrerebbe suggerire che l’impiego dei militari in operazioni sul territorio a supporto delle forze di polizia debba seguire un altro benchmark, sulla scia della nuova normativa disciplinata nell’art. 89 del Codice dell’Ordinamento Militare (D.lgs. 66/2010), nella parte in cui si legge che “le Forze armate concorrono alla salvaguardia delle libere istituzioni e svolgono compiti specifici in circostanze di pubblica calamità e in altri casi di straordinaria necessità e urgenza”.

I riferimenti più citati in queste ore sono le operazioni “Vespri siciliani” (dopo le bombe della mafia) e quella “Strade sicure” (contro la microcriminalità). Quest’ultima operazione, stando a quanto trapela da fonti governative, sembrerebbe essere il modello cui si guarda in queste ore. Se così fosse i militari agirebbero con funzioni di agenti di pubblica sicurezza e potrebbero intervenire “al fine di prevenire o impedire comportamenti che possono mettere in pericolo l’incolumità di persone o la sicurezza dei luoghi vigilati”, acquisendo la possibilità di procedere a identificazioni e perquisizioni dei cittadini, nell’ottica di far rispettare l’ordine dell’autorità. Si tratterebbe di dare ai militari lo status di pubblici ufficiali, dunque i poteri autoritativo (impartire ai cittadini “veri e propri comandi, rispetto ai quali il privato si trova in una posizione di soggezione”) e certificativo (“quello che attribuisce al certificato, il potere di attestare un fatto facente prova fino a querela di falso”).

Perché questa cosa potrebbe rappresentare un problema?

In primo luogo, banalmente, i militari italiani non sono formati per compiere funzioni di questo tipo e per espletare il ruolo di pubblici ufficiali. Realisticamente, non pare esserci il tempo per restituire a un numero così ampio di persone tutte le nozioni necessarie affinché non commettano loro stessi dei reati, non spingano i cittadini a commetterne per scarsità di informazioni (pensiamo al rifiuto di generalità) o non causino migliaia di controversie. Anche perché, veniamo alla seconda problematica, i militari non avrebbero comunque funzioni di polizia giudiziaria, ovvero dovrebbero ricorrere al supporto di carabinieri e polizia per completare gli accertamenti e dunque compiere appunto tutti gli atti di polizia giudiziaria nei confronti di un cittadino fermato. Dovremmo utilizzarli solo per il pattugliamento, insomma? Ne varrebbe la pena?

Servono davvero i militari nelle strade?

Chiarito che la questione è complessa e niente affatto banale sotto il profilo normativo, qualche considerazione merita anche l’aspetto pratico. Chi caldeggia questa soluzione lo fa perché pensa che solo la presenza dei militari nelle strade possa garantire il rispetto delle indicazioni delle autorità sulla necessità di rimanere a casa e non uscire se non per comprovate esigenze e necessità. Va detto però che anche gli stessi militari si troverebbero a dover utilizzare delle armi spuntate, dal momento che la formulazione delle indicazioni governative è piuttosto vaga e permette una serie di eccezioni e giustificazioni che amplia di molto la possibilità di aggirare il divieto o comunque di giustificare eventuali inadempienze. Detto in altre parole, il decreto del governo è un invito alla responsabilizzazione e può essere efficace solo se i cittadini lo rispettano e lo fanno proprio, anche nella consapevolezza che neanche l’esercito basterebbe per monitorare e verificare gli spostamenti di milioni di persone sull’intero territorio nazionale.

Va poi chiarito un altro punto essenziale: l’esercito dovrebbe servire a limitare la presenza per le strade di persone che stanno violando le disposizioni del governo, che riguardano assembramenti e vita sociale. Un aspetto del tutto marginale, almeno in questo momento. Possiamo impedire con la forza a qualche migliaio di persone di uscire di casa a bighellonare, certo, ma è davvero svuotare il mare con un secchiello, con i trasporti ancora essenzialmente in funzione e milioni di persone che tutti i giorni si recano sui luoghi di lavoro. Se l’obiettivo è il contenimento del contagio togliendo al virus le possibilità per passare da persona a persona, allora l’unica vera strada è il lockdown totale, con lo stop ai settori produttivi non essenziali e la chiusura dei trasporti e degli uffici pubblici. Parlare di sorveglianza, a quel punto, avrebbe un altro significato e peso, fermo restante la sussistenza del problema di cui abbiamo parlato prima.

E di altre questioni, non di minore rilevanza, come i costi di una operazione di questo tipo: mobilitare decine di migliaia di militari (ovviamente non preparati per emergenze di questo tipo e del tutto a digiuno di conoscenze in ambito medico e sanitario) per un arco di tempo non ben definito avrebbe un costo esorbitante per le casse dello Stato, già duramente provate dalla necessità di sostenere l’intera economia sull’orlo del collasso. I reparti specializzati dell'Esercito, invece, possono e devono dare una mano (come già in parte stanno facendo), soprattutto sul piano dell'organizzazione, della logistica e del supporto a tutti i livelli della macchina organizzativa dello Stato (qui Tizian e Fittipaldi spiegano il piano di cui si discute ai piani alti). Mettere in circolo competenze e conoscenze, nella consapevolezza che dalla crisi si esce solo insieme.

Uscire dalla crisi con la forza della nostra democrazia

La sospensione delle libertà costituzionali, i carri armati nelle strade, la sovrapposizione dei poteri, lo stato di guerra: è uno scenario che dovrebbe sempre farci paura, sempre. Ho lasciato la considerazione più importante alla fine, mi rendo conto. La gravità e serietà del momento impongono però una cautela ulteriore quando si ragiona di questioni più propriamente politiche, proprio per restituire il senso della centralità che ha o dovrebbe avere la tutela della salute dei cittadini. Ma il punto è paradossalmente proprio questo: da questa crisi si esce come democrazia, con la forza della democrazia e con gli strumenti della democrazia. Serve uno sforzo collettivo di responsabilità, serve una gigantesca presa di coscienza da parte di cittadini, istituzioni e sistema protettivo, serve che ognuno pensi se stesso in relazione all'altro, accantoni egoismo e narcisismo in nome di un bene più ampio. Sono state prese delle misure drastiche solo pochi giorni fa e si è chiesta la collaborazione dei cittadini. Si è operata la più grande limitazione della libertà di movimento dal dopoguerra, con l'appoggio di tutte le forze politiche e la quasi totalità dell'opinione pubblica. Quasi certamente non basterà e il lockdown sarà ineluttabile. Ma anche questa misura è destinata a fallire senza il sostegno degli italiani, senza la piena attuazione dei principi della nostra democrazia, senza che sia la comunità ad accettare un enorme sacrificio, comprendendo che è nel suo esclusivo interesse. Più trasparenza, più parole di verità, più determinazione nelle scelte. E non serviranno i blindati per battere il coronavirus.

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A Fanpage.it fin dagli inizi, sono condirettore e caporedattore dell'area politica. Attualmente nella redazione napoletana del giornale. Racconto storie, discuto di cose noiose e scrivo di politica e comunicazione. Senza pregiudizi.
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