Leopolda: quell’errore (presuntuoso) di mettere i giornali alla gogna
Torniamo indietro di qualche mese, non molti: Beppe Grillo sul suo blog cominciava una (demenziale) campagna contro i giornalisti che, a suo dire, scrivevano cose false sul Movimento 5 Stelle. Vi ricordate quante voci si levarono per condannare quell'angolo del blog in cui ogni giorno qualche giornalista era messo alla berlina? Dissero e scrissero di tutto: fascista, inquisizione, vergogna e i più strenui difensori dei giornalisti furono gli uomini al governo, in maggioranza del Partito Democratico.
In cosa sbagliava Grillo? Nel pensare all'informazione come una crosta indifferenziata senza cogliere (nell'informazione) l'occasione di un dibattito. Un dibattito anche acceso, spigoloso e se serve (e si ritiene opportuno) anche con toni d'accusa. Il Movimento 5 Stelle infatti alla fine decise di evolvere il proprio atteggiamento in una partecipazione più attiva proprio in quei luoghi prima mistificati (pensiamo al salotto di Vespa). Grillo e Casaleggio hanno capito che la pluralità di voci è una garanzia della democrazia e, nonostante i servi o i mistificatori, è un luogo troppo importante per essere buttato via con l'acqua sporca.
Quando i rappresentanti del Movimento 5 Stelle cominciarono a frequentare i luoghi "nemici" (televisione, radio, certa stampa) furono in molti ad attaccare questo "cambio di marcia" come se fosse stato un tradimento (a chi, poi?) e non semplicemente una nuova consapevolezza. E tutti giù a dire e scrivere (molti del PD in testa): voltafaccia, bugiardi, siete casta anche voi, vi rimangiate le parole. Ve lo ricordate? Bene, partiamo da qui.
Uno dei modi più immediati per cogliere la politica che diventa tifo è quello di paragonare gli stessi identici atteggiamenti messi in campo da schieramenti opposti e confrontare le differenti reazioni: nello stesso anno noterete lo stesso tifoso esultare per un atteggiamento che sarà pronto a demonizzare qualche mese dopo, semplicemente in base alla paternità del gesto. La banalizzazione della politica come miope fedeltà di schieramento è il primo segnale dell'imbarbarimento culturale. Se la politica scade nel tifo gli idealismi diventano fede, gli elettori sono seguaci, gli schieramenti sono eserciti e il dibattito è solo uno dei campi di battaglia. Il fanatismo è sempre una cattiva notizia per una democrazia: se la distruzione dell'avversario diventa l'elemento più aggregante alla fine vinceranno gli incapaci semplicemente perché più convincenti. E nello show funziona Salvini o Donald Trump, non certo Berlinguer.
Matteo Renzi ha impostato la crescita della propria credibilità (e del proprio potere politico) lanciando la sfida di un differenza reale, nelle persone e nelle azioni, rispetto a coloro che l'hanno preceduto. Ha avuto l'intelligenza (indipendentemente dall'essere o no d'accordo con lui) di avere credito per un governo diverso e non solo per la riuscita distruzione degli altri. Questo credo che anche i più critici lo riconoscano: Renzi ha avuto l'occasione di governare sostenuto da un'ampia maggioranza (anche gente per niente del PD) che ha ritenuto fosse giusto che avesse la sua opportunità.
Per questo credo che sia stato un errore per Renzi e i suoi cadere nella tentazione di mettere all'indice i titoli dei giornali durante la giornata alla Leopolda di ieri: prendersi la briga di comunicare l'azione di governo è troppo più importante (e etico) piuttosto che accanirsi contro questo o quel quotidiano. Sarebbe troppo facile (e infatti oggi già succede) elencare di contro il servilismo o la "cortese disattenzione" della folta schiera dei giornalisti camerieri di governo. E, inevitabilmente, ancora una volta si corromperebbe la politica in una disputa di quartiere, un duello tra galli. Perché (e lo sa Renzi e lo sanno i suoi) durante la sua presidenza si assiste ad una conformazione dell'informazione che ricorda ben altre legislature. E qui si potremmo ricominciare a ripetere l'errore. Appunto.
p.s. ah, a proposito: ha "vinto" il titolo sui migranti e sulla scuola di Libero: Tanto per dire di cosa stiamo parlando.