Il primo giorno comincia in modo inusuale, come del resto l'intera esperienza politica di Matteo Renzi. Tavoli imbanditi ed una lunga ma composta fila di persone al buffet (15 euro di auto-finanziamento, ci mancherebbe), prima della discussione. Come a dire: a stomaco pieno si ragiona meglio. E peraltro con un format decisamente nuovo: una ottantina di tavoli tematici (100 per gli organizzatori) intorno ai quali una decina di persone discutono, ragionano, propongono. Tutto organizzato nei minimi dettagli, niente di improvvisato e sostanzialmente zero rischi per il Sindaco (che secondo molti sarebbe "stufo" della kermesse che pure lo ha consacrato e non vede l'ora di tornare nelle piazze per mandare un chiaro messaggio a "compagni e nemici").
In mezzo lui, Matteo Renzi, che ospita Lilli Gruber e ripete su La7 il refrain della sua campagna per le primarie: cambiare verso al Paese, volare alto rispetto alle miserie della politica degli ultimi anni, spingere prima il Pd fuori dal pantano e "fare a meno", anche concettualmente, della deriva del qualunquismo grillino. Certo, l'attualità politica richiede un'attenzione specifica, ma il Sindaco di Firenze se la cava nel modo usuale: piani separati per le singole questioni, ma sguardo proiettato oltre. Così non c'è contraddizione, secondo Renzi, fra il piano delle riforme istituzionali e le misure in favore dei cittadini meno abbienti e nella stessa frase finiscono "la fine del bicameralismo perfetto" e la necessità di "ridare potere d'acquisto ai cittadini". La nuova narrazione renziana del resto è questa: attenzione maniacale alle forme della comunicazione e risposte "mai evasive e mai precise", che tengono insieme le diverse sensazioni del suo popolo.
Così Renzi riesce a tenere insieme il sostegno a Letta e la sua eventuale vittoria alle primarie dell'otto dicembre (e pazienza se tutti sono convinti che le due cose si escludono necessariamente); il suo ruolo di Sindaco e quello eventuale di candidato premier (cita la Aubry, ad esempio); il regolamento del Pd e la possibilità di deroghe (come quella di cui ha usufruito); la necessità di vincere le elezioni e la possibilità che queste si tengano solo dopo che il Paese sia uscito dalla crisi.
Intorno il solito scenario di ispirazione obamiana. E stavolta il Sindaco spiega tutto, dal programma ai finanziamenti, passando per l'ordine dei lavori fino alla scelta del "font del logo": letterpress, "font tattile impresso a lettere di piombo / natura essenziale e concreta della Leopolda / scrittura a mano / coinvolgimento e contributo di tutti" (così si legge sulla brochure). Insomma, il primo passo è quello di creare una comunità, di "far sentire tutti protagonisti", di dare un nome al futuro, di cementare un gruppo. E pazienza se intorno è un profluvio di bersaniani convertiti, di riciclati e presenzialisti di ogni tipo. Renzi assicura: premiamo il merito, non la fedeltà, men che meno gli arrivisti. Insomma, lui li conosce e non si farà fregare, dice.
E il suo popolo, sia detto per inciso, affolla la Leopolda consapevole di essere ad un passo dal prendersi in mano il partito. Questa volta si vince, è la frase che rimbalza di bocca in bocca. E in mano hanno tutti il libro – racconto della campagna per le primarie del 2012, quella dell'Adesso e della sconfitta contro Bersani: libro che i volontari renziani distribuiscono quasi a ricordare il "suicidio politico del partito", la madre di tutte le angosce nelle quali è precipitato il centrosinistra. Questa volta, ripetono, sarà diverso: tocca a Matteo.