Vogliamo dirlo una volta per tutte che non ci sarebbe nessuna emergenza migranti in Italia e in Europa, se non ci fossero leggi che impediscono il libero accesso al Vecchio Continente di persone che cercano un posto dove migliorare le loro condizioni di vita?
Proviamoci, perlomeno. Perché altrimenti il racconto dominante è sempre quello di una grande invasione – 90mila sbarchi in un anno, come ha tuonato ieri Giorgia Meloni – che si può arginare solamente facendo finta di essere umani: impedendo cioè alle navi di sbarcare in Italia, lasciandole affondare nel canale di Sicilia, o lasciando i migranti a morire nei lager libici. Perché altrimenti avremmo da gestire una marea di persone di cui non sappiamo cosa fare, se non parcheggiarle nei centri di accoglienza.
Peccato che non sia così, che un fenomeno migratorio come quello che stiamo vivendo ora sia figlio delle leggi che l’hanno costruito. La legge Bossi Fini del 2002 e il cosiddetto Pacchetto Sicurezza del 2009, prime tra tutte, che equiparano la migrazione a un reato penale, a meno che non sia legata a una richiesta di asilo politico. Richieste che diventano l’unico canale di accesso nel nostro Paese. E che vengono respinte al mittente senza nemmeno vagliarle impedendo in ogni modo alle persone di sbarcare sul suolo italiano.
Piccolo dettaglio: un richiedente asilo, fino a che la sua richiesta non viene approvata o respinta – cosa che richiede tempi biblici – non può far nulla in Italia. Deve stare fermo e aspettare. Ed ecco che arriva la narrazione degli immigrati nullafacenti, delle “risorse” che non fanno nulla (proprio perché non possono far nulla!), dei richiedenti asilo che passano le giornate a poltrire nei parchi, dei 35 euro al giorno necessari a farli sopravvivere qua, del “carico residuale” da parcheggiare sulle navi in rada, in spregio a ogni legge e alla dignità umana.
Immaginatevi se invece quei migranti potessero arrivare in Italia, prendere un aereo, e muoversi liberamente in Europa, o ovunque altrove, per cercare lavoro. Potrebbero immediatamente coprire la carenza di manodopera di un Paese in crisi demografica come il nostro. Potrebbero surrogare il nostro welfare sia col loro lavoro e con le tasse che pagherebbero lavorando. Potrebbero inviare dei soldi nei loro Paesi, concorrendone allo sviluppo attraverso un meccanismo di aiuti che ha dimostrato storicamente di funzionare – e noi italiani dovremmo saperlo bene.
In sintesi, anziché gestire l’emergenza sbarchi e l’emergenza profughi e tutto il corollario di marginalità ed esclusione sociale che queste emergenze generano avremmo da gestire un processo che genera ricchezza e redistribuzione della medesima, e costruzione di una nuova cittadinanza multietnica italiana. Processo difficile, ma sicuramente più ambizioso di una strenua e disumana difesa di un confine indifendibile.
Certo, la destra si attaccherebbe ad altro, come già faceva negli anni ’90, quando ancora il reato di immigrazione clandestina non esisteva. Parlerebbe di sostituzione etnica, di islamizzazione dell’Italia, si attaccherebbe alla difesa della cultura e della razza. Svelando tuttavia ciò per cui davvero combatte, e ciò che davvero teme. Molto meglio costruire un’emergenza dal nulla, e soffiare sul fuoco della paura che ne scaturisce per vincere le elezioni e per distrarre l’opinione pubblica alla bisogna.
Tutto legittimo, intendiamoci. Il problema, semmai, è che a questa lettura nessuno – a sinistra – ha mai saputo opporre una visione alternativa. Al contrario, si è preferito fornire una versione edulcorata – fino a un certo punto – delle politiche emergenziali della destra, senza mai mettere in discussione l’impianto che ha generato quell’emergenza. Vale anche per chi commenta, intendiamoci: che ancora si mette a fare il bilancino degli sbarchi o di chi accoglie di più, senza mai dire la cosa più ovvia di tutte: che se non ci fosse il reato d’immigrazione clandestina quelle barchine nemmeno partirebbero. E che non ci sarebbero richiedenti asilo da redistribuire, ma persone da accogliere e integrare.
Un triplo capolavoro che certifica lo stallo in cui ci troviamo oggi. Quello di un Vecchissimo continente che muore di vecchiaia, che brucia per paura, per calcolo e per incapacità l’unica speranza che ha di sopravvivere. E che lo sta facendo caricandosi sulla coscienza un fardello di disumanità per cui ci vergogneremo nei secoli a venire.