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Legittima difesa, Consiglio di Stato rifiuta porto d’armi a imprenditore: “I numerosi furti non provano un dimostrato bisogno di una pistola”

Replicando alla richiesta di porto d’armi avanzata da un imprenditore bresciano dopo un’escalation di furti in azienda, il Consiglio di Stato ha negato la licenza spiegando che i numerosi furti non costituiscono un “dimostrato bisogno di una pistola” perché nelle valutazioni per il rilascio “deve prevalere la salvaguardia dell’ordine e della sicurezza pubblica generale”.
A cura di Charlotte Matteini
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Subire furti in azienda non costituisce motivo per la richiesta e l'ottenimento del diritto al porto d'armi. A mettere un punto fermo alla questione è una recente sentenza del Consiglio di Stato pronunciata in risposta alla richiesta avanzata da un imprenditore bresciano, titolare di un'azienda con cento addetti a Pian Camuno, specializzata nel montaggio e nella manutenzione di impianti industriali. L'uomo, nel 2008, dopo un'escalation di furti nella propria azienda, aveva richiesto il porto d'armi per difesa personale, ma il prefetto aveva respinto la domanda sostenendo l'insussistenza di elementi che giustificassero l'effettivo bisogno di andare in giro armato.

L'imprenditore bresciano, non accettando il diniego del prefetto, è ricorso al Tar e nel 2012 il tribunale amministrativo della Lombardia ha accolto l'istanza imponendo una nuova istruttoria e il rilascio del porto d'armi richiesto. Il pronunciamento del Tar Lombardia, però, è stato impugnato dal ministero dell'Interno davanti al Consiglio di Stato, il quale ha stabilito che l'imprenditore non ha diritto al porto d'armi perché ha ritenuto che l'appartenenza a una categoria professionale, ad eccezione delle forze dell'ordine, non è di per sé tale da giustificare il rilascio della licenza richiesta.

La sentenza afferma che anche i commercianti di preziosi, gli avvocati, i notai, gli operatori del settore assicurativo o bancario e gli investigatori privati sono sottoposti a un'istruttoria e i furti subiti per i giudici non sono la prova di un "dimostrato bisogno di una pistola". Nelle valutazioni per il rilascio del porto d'armi "deve prevalere la salvaguardia dell'ordine e della sicurezza pubblica generale". L'imprenditore bresciano è stato infine condannato a rifondere al ministero dell'Interno le spese di giudizio, pari a 1.500 euro.

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