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Legge elettorale, perché ora tutti vogliono cambiare l’Italicum

Tutti contro l’Italicum, adesso. Eppure, cambiare la legge elettorale appena approvata non sarà semplicissimo.
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“Il presidente della Corte Costituzionale, sentito il collegio, ha deciso di rinviare a nuovo ruolo la trattazione delle questioni di legittimità costituzionale sollevate dai Tribunali di Messina e Torino in merito alla legge 52/2015 (Italicum) previste per l'udienza pubblica del 4 ottobre”. Per strano che possa sembrare, questo comunicato della Consulta rischia di avere un effetto decisivo sulla prosecuzione della legislatura e, forse, anche sul destino dell’esecutivo guidato da Matteo Renzi. In pratica, la Corte Costituzionale ha rimandato la decisione sulla costituzionalità dell’Italicum, o meglio, sulle candidature multiple e sul premio di maggioranza assegnato dopo il ballottaggio.

Una decisione di metodo, prima che nel merito della legge, su cui ha pesato probabilmente la riapertura della discussione in Parlamento e l’imminente referendum sulla riforma della Costituzione. Nei fatti, dunque, la Consulta ha preso tempo per evitare, come spiega Ceccanti, “di essere intesa non come organo di garanzia, ma come una specie di terza Camera”, dunque come organo politico. Una lettura fortemente contestata dall'opposizione, che invece giudica il rinvio stesso un atto politico, parlando, con Brunetta, di "favore a Renzi".

Il punto è che le perplessità sull’Italicum restano molte e non è affatto detto che vengano spazzate via dalla discussione parlamentare. La nuova legge elettorale prevede infatti una serie di cambiamenti che non sembrano aver ovviato alle obiezioni di costituzionalità che avevano affossato il Porcellum. Il nuovo sistema elettorale, entrato in vigore a luglio 2016 e valevole per la sola Camera dei deputati, prevede infatti:

  • 100 collegi, con mini – liste di candidati;
  • capilista bloccati, scelti direttamente dai partiti;
  • possibilità di presentarsi come capolista in 10 collegi;
  • due preferenze, con alternanza di genere, per gli altri candidati nel listino di collegio;
  • soglia di sbarramento per l’ingresso in Parlamento al 3%;
  • attribuzione proporzionale dei seggi;
  • premio di maggioranza (con l’elezione di 340 deputati) alla lista che raggiunge il 40% dei voti al primo turno;
  • premio di maggioranza assegnato al ballottaggio nel caso in cui nessuna lista abbia il 40% al primo turno.

Cambiare l'Italicum, ma come?

L'ultima proposta in ordine di tempo è quella del MoVimento 5 Stelle:

Secondo noi deve essere adottato un sistema elettorale con formula proporzionale da applicarsi in circoscrizioni medio-piccole in quanto, oltre a garantire rappresentatività e vicinanza agli elettori, favorisce l’aggregazione fra le forze politiche piccole e medio-piccole […] Per queste ragioni chiediamo al Parlamento di approvare in tempi rapidi una nuova legge elettorale con formula proporzionale, in circoscrizioni medio-piccole e modalità di espressione della preferenza da parte degli elettori

Una sorta di modello spagnolo con preferenze, senza correzione nell'assegnazione dei seggi né soglie di sbarramento fisse (c'è una soglia di sbarramento "naturale su base circoscrizionale").

In campo c'è però anche la proposta di parte della maggioranza renziana, quella che fa riferimento a Matteo Orfini e che propone una "riflessione" sul modello greco. In pratica si tratterebbe di assegnare un premio di maggioranza "ragionevole" (quello greco prevede 50 deputati in più, dunque in Italia si opterebbe per una percentuale vicina al 15% del totale dei seggi) alla lista (o alla coalizione, come da prima stesura dell'Italicum) che ottiene la maggioranza relativa al primo turno.

La minoranza del Partito Democratico invece insiste sul turno unico con premio di maggioranza e collegi uninominali, un po’ come con il vecchio Matterellum. La proposta, definita Bersanellum da qualcuno, prevede 475 collegi che assegnano un seggio ciascuno, con un premio di governabilità fino a un massimo di 90 seggi alla lista o coalizione che prende più voti, 30 alla seconda, 23 proporzionalmente ripartiti tra quelle che superino il 2 per cento con meno di 20 eletti nei collegi uninominali.

Il Governo, per bocca sia di Renzi che di Boschi, ha più volte ribadito che la materia è prettamente parlamentare (per quanto la legge sia passata su iniziativa dell’esecutivo…), dunque appare escluso un intervento diretto per modificare l’italiqum. La maggioranza però potrebbe presentare una mozione unitaria che, a quanto pare, dovrebbe correggerne alcuni aspetti giudicati “a rischio legittimità costituzionale”. Area Popolare e Centro Democratico spingono per una “diminuzione” del premio di maggioranza in favore di una “maggiore rappresentatività”, ma non ci sono intese chiare e definite, almeno per il momento.

E quindi, che fine farà l'Italicum?

Il fatto che tutte o quasi le forze politiche siano convinte della necessità di modificare l'Italicum non significa necessariamente che vedremo dei cambiamenti. Almeno non a breve. È vero che la linea di Renzi in tal senso è sempre stata possibilista, ma è anche vero che il Presidente del Consiglio sostiene che l'Italicum sia "una buona legge che garantisce governabilità". La tentazione di fare discorsi "result oriented", magari verificando i dati dei sondaggi, è sempre forte, ma può essere un'arma a doppio taglio. Soprattutto se si considera l'elefante nella stanza, ovvero l'imminente referendum sulla riforma della Costituzione.

Dal referendum potrebbe infatti arrivare un colpo decisivo all'Italicum, con il no che costringerebbe il Governo (quello attuale? quello che verrà?) a intervenire per scongiurare l'ipotesi di un voto con due sistemi diversi a Camera e Senato. Ma non solo, perché la necessità di ottenere consensi per il sì potrebbe spingere i renziani a cercare un accordo interno ed evitare quello che la minoranza considera il "deleterio combinato disposto fra Italicum e riforma".

Insomma, lo slittamento dell'intervento della Consulta, se da un lato eviterà a Renzi di sottoporsi al giudizio del referendum "senza" una legge elettorale, dall'altro lo obbligherà anche a decidere se tirare dritto e scavare un solco forse definitivo con la minoranza del suo partito, con l'incubo di perdere il referendum e consegnare al Paese mesi e mesi di larghe intese. Con o senza l'intervento della Consulta.

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A Fanpage.it fin dagli inizi, sono condirettore e caporedattore dell'area politica. Attualmente nella redazione napoletana del giornale. Racconto storie, discuto di cose noiose e scrivo di politica e comunicazione. Senza pregiudizi.
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