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Le tre pessime ragioni di Berlusconi per far cadere Monti

Election day, incandidabilità dei condannati e calcoli pre-elettorali: le tre pessime ragioni di Berlusconi per affossare ora il Governo Monti. Con buona pace della stabilità del Paese.
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Berlusconi-Monti

"Non posso entrare nelle dinamiche dei singoli partiti ma come Italia dobbiamo dare la sensazione che il Paese va avanti. Tutto ciò che può fare immaginare al resto del mondo, ai nostri partner, che si torna indietro non è bene per l'Italia". Queste sono le esatte parole pronunciate da Corrado Passera durante la trasmissione Agorà e che sarebbero alla base della clamorosa rottura fra il gruppo parlamentare del Popolo della Libertà ed il Governo guidato da Mario Monti. Ecco, è abbastanza arduo pensare che simili affermazioni bastino a far cadere un Governo, soprattutto a pochissimi mesi dalla scadenza naturale della legislatura e nel pieno di una delicatissima fase parlamentare. Insomma, il capriccio di Berlusconi e la "reazione" del capogruppo pidiellino al Senato Gasparri probabilmente nascondono motivazioni ben più profonde. Calcoli elettorali e strategie politiche, che però rischiano di buttare a mare l'unica "parte di lavoro" di un anno di Governo che stava cominciando a dare i suoi frutti: credibilità internazionale, rapporti con i mercati e rigore nei conti. Aspetti che davvero sembrano importare poco al Popolo della Libertà, che alza la voce e a pochi mesi dal termine della legislatura scopre, con le parole di Fabrizio Cicchitto, di dover "marcare la nostra posizione fortemente critica sulla politica economica del Governo".

Calcoli, strategie, che rimandano (soprattutto, ma non solo) a 3 punti fondamentali: election day, incandidabilità dei condannati ed imminente campagna elettorale. Sull'election day il discorso è abbastanza semplice: il Popolo della Libertà spinge da tempo in questa direzione, contro il parere della quasi totalità delle altre forze politiche e contro l'orientamento del Governo. È chiaro che una pressione di questo tipo potrebbe o "far scendere a patti il Governo" (magari stralciando solo il Lazio, anche in virtù della sentenza del Tar di ieri), oppure, nel caso in cui Monti decidesse di mollare, comportare gioco forza un accorpamento delle elezioni.

L'incandidabilità dei condannati è un altro boccone indigesto al PDL. Del decreto discuteranno in serata i ministri, ma è chiaro che in condizioni di estrema incertezza potrebbe prevalere un "approccio morbido" e, parallelamente, potrebbero non esserci le condizioni per una conversione entro 60 giorni da parte del Parlamento. E a Silvio Berlusconi non potrebbe che far piacere la notizia di candidarsi senza la spada di Damocle di una condanna definitiva nel processo Mediaset o in quello Ruby.

Da un punto di vista prettamente "strategico" far cadere Monti rappresenta infine un tentativo disperato di recuperare consensi raschiando il barile della pancia dell'elettorato ostile alla politica del Governo dei "tecnici e dei banchieri". Un tentativo populista di tornare a cavalcare la rabbia e l'indignazione popolare sul quale Berlusconi riflette da tempo e che deve essergli sembrata l'ultima chance per rivitalizzare un centrodestra in crisi di consensi. E l'idea di una campagna elettorale all'attacco contro un generico fronte di montiani deve averlo convinto a tal punto da sacrificare ogni residua possibilità di "ricostruzione della casa dei moderati".

Solo speculazioni prive di fondamento? Staremo a vedere, a partire dalle prossime ore, quando si tireranno le somme del lavoro degli sherpa e tornerà a parlare proprio Mario Monti. E anche Berlusconi, c'è da scommetterci.

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A Fanpage.it fin dagli inizi, sono condirettore e caporedattore dell'area politica. Attualmente nella redazione napoletana del giornale. Racconto storie, discuto di cose noiose e scrivo di politica e comunicazione. Senza pregiudizi.
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